venerdì 31 luglio 2009

Riforme istituzionali: necessario un percorso coerente

Dopo anni di lunghe discussioni sulle grandi riforme costituzionali, si è avviato in questa legislatura un percorso molto concreto di attuazione della riforma del titolo V, parte II, della Costituzione, entrata in vigore nel 2001.

E’ stata approvata dal Parlamento la legge delega sul federalismo fiscale che ha come principale obiettivo il riconoscimento dell’autonomia e della responsabilità dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali e nella gestione delle entrate e delle spese.

Nel momento in cui ha approvato la legge delega, il Parlamento ha approvato un ordine del giorno del Partito democratico che invitava il Governo a presentare un disegno di legge sulle funzioni fondamentali di ogni livello di governo, per definire chiaramente “chi fa cosa” e avviare un profondo processo di riordino delle istituzioni.

Il disegno di legge è stato approvato in via preliminare dal CdM del 15 luglio 2009, ed è ora auspicabile che in Parlamento e nel Paese ci sia ora un confronto approfondito e serrato poiché è evidente che non si può costruire un sistema di ripartizione delle risorse finanziarie efficiente su un sistema istituzionale inefficiente.

Questi provvedimenti danno coerenza al processo di trasferimento di poteri e risorse alle autonomie territoriali che è stato avviato a partire dalla metà degli anni '90. Essi implicano però una rinnovata capacità dello Stato nazionale di garantire l’unità del Paese ed un livello adeguato di prestazioni nei diversi territori. Nel momento in cui si rafforza l’autonomia e si dà vita ad un ordinamento di tipo federale c’è ancor più bisogno di uno Stato forte, che funga da regolatore, che consenta di mettere in rete le diverse istituzioni che compongono la Repubblica fornendo ai cittadini tutte le informazioni necessarie per verificare la loro attività, che intervenga a colmare le disparità territoriali che sono già presenti nel Paese e che rischiano di aggravarsi.

Lo spostamento dei poteri verso le autonomie territoriali è stato controbilanciato, in questi anni, da confuse tendenze di verticalizzazione del potere che mettono in sofferenza l'evoluzione pluralistica degli assetti istituzionali. Le modifiche della legislazione elettorale e l’evoluzione del sistema politico e mediatico hanno prodotto sul piano nazionale un presidenzialismo di fatto che contraddice la forma di governo parlamentare della nostra Costituzione e svuota i poteri del Parlamento e delle autonomie territoriali (accentramento delle scelte, decretazione di urgenza, ricorso reiterato al voto di fiducia…).

L’indicazione sulla scheda elettorale del capo della coalizione, il premio di maggioranza, le liste bloccate danno apparentemente ai cittadini la sensazione di scegliere direttamente il governo, ma ciò avviene senza i necessari contrappesi tipici dei sistemi presidenziali. Quel che è più grave è che i cittadini e i territori sono spogliati del diritto di eleggere i loro rappresentanti in Parlamento.

Per realizzare anche in Italia una “democrazia costituzionale” pienamente inserita nel contesto istituzionale europeo occorre individuare un percorso coerente per ammodernare e razionalizzare la nostra forma di governo parlamentare, attraverso una riforma condivisa del Parlamento e della legge elettorale.

Tutte le forze politiche sono consapevoli che i rapporti tra le autonomie territoriali e lo Stato non possano limitarsi agli incontri tra gli esecutivi. Occorre mettere mano ad una riforma del sistema parlamentare, per superare i limiti del bicameralismo perfetto, attraverso la previsione di una sola Camera con funzioni di indirizzo politico e l’istituzione di un Senato delle autonomie che consenta di raccordare la funzione legislativa del Parlamento con la nuova forma di stato introdotta dalla riforma costituzionale del 2001 (sul modello della bozza Violante).

Anche la riflessione sulla legge elettorale deve essere collocata in questa prospettiva. Nell’ambito della forma di governo parlamentare si possono utilizzare diversi modelli di legge elettorale per contemperare le esigenze del pluralismo, della democrazia, della rappresentanza e della governabilità, allo scopo di ridare una vera legittimazione alla politica e al Parlamento.

Si possono coniugare facilmente le esigenze della democrazia e dell’efficienza, senza la necessità di ricorrere all’elezione diretta del premier e al premio di maggioranza. La verticalizzazione e personalizzazione delle scelte elettorali è infatti utile quando si deve eleggere il vertice di un’amministrazione locale che svolge compiti di natura amministrativa (Sindaco, Presidente di provincia) ma causa insanabili conflitti istituzionali quando si elegge un’assemblea legislativa nell’ambito di una forma di governo parlamentare.

L’obiettivo della riforma elettorale non può essere quello di forzare il quadro politico. Al contrario, essa deve tener conto dell’evoluzione del sistema politico che è avvenuta in questi anni con la formazione di due grandi partiti (PDL e PD) intorno alle quali si costruiscono le coalizioni di governo a livello nazionale e territoriale, alle quali partecipano quei soggetti (la Lega, l'IDV, l'UDC, ma potenzialmente anche la Sinistra) che sono in grado di veicolare in modo consistente interessi e valori che altrimenti non troverebbero rappresentanza nel sistema politico, superando le soglie di sbarramento previste dalle diverse leggi elettorali.

Dopo anni di strappi e sperimentazioni in materia di legislazione elettorale si apre, per la prossima legislatura, la possibilità di una riforma elettorale di sistema che consenta di contemperare le esigenze della rappresentanza (delle opinioni e dei territori) con le esigenze della governabilità, attraverso il ritorno ai collegi uninominali, un mix di proporzionale e di maggioritario e la previsione di una soglia di sbarramento che consenta di assicurare la costituzione di solide maggioranze parlamentari.

A valle della riforma del Parlamento e della legge elettorale si colloca una riforma dei regolamenti parlamentari che preveda una riorganizzazione dei gruppi parlamentari, il rafforzamento del ruolo del Governo nella guida della maggioranza parlamentare, l’accorciamento dei tempi di approvazione delle leggi (rafforzando il ruolo delle commissioni), la definizione di uno statuto delle opposizioni che consenta loro di esercitare il ruolo di controllo democratico a cui sono state chiamate dagli elettori.

Su queste esigenze di riforma istituzionale c’è un consenso di massima di tutte le forze politiche. Se le forze politiche di maggioranza e di opposizione riusciranno a trovare l’accordo su queste riforme, cercando in Parlamento quella larga condivisione che gli italiani chiedono alla politica quando si tratta di decidere le regole del gioco, il sistema politico italiano, dopo una lunga fase di transizione, potrà finalmente trovare una nuova legittimazione e fornire risposte chiare ai bisogni del Paese.

mercoledì 24 giugno 2009

Dal fallimento del referendum ad un percorso condiviso di riforme?

Il fallimento dei referendum elettorali del 21-22 giugno è stato commentato da molte parti come il "de profundis" dell'istituto referendario, mentre non è stata posta la necessaria attenzione sul merito dei quesiti sui quali gli italiani erano stati chiamati ad esprimere il loro voto e sui quali erano state svolte approfondite riflessioni prima del voto.

Se è fisiologico che una parte degli elettori si astenga dal voto soprattutto nel caso di quesiti referendari di natura molto tecnica, l’astensione del 21-22 giugno va interpretata in maniera diversa. Per il referendum, su scala nazionale, è andato a votare circa il 23,5% degli elettori. Se si analizza il dato relativo alle 22 province nel quale c’erano anche i ballottaggi si può, tuttavia riscontrare, che molti cittadini hanno scelto di andare a votare per l’elezione del presidente della provincia ed hanno consapevolmente rifiutato allo stesso tempo le schede dei referendum. Questo è avvenuto con percentuali diverse sia al Nord, sia al Centro, sia al Sud ma con un dato medio di circa il 7% in meno.

Questi dati devono essere letti anche alla luce del comportamento che i cittadini italiani hanno avuto relativamente al referendum del 2006 sulla riforma costituzionale approvata dal centrodestra, al quale ha partecipato oltre il 52% degli elettori. E’ vero che in questo caso non vi era il quorum da raggiungere, ma il popolo si è espresso chiaramente per impedire l’entrata in vigore di una riforma costituzionale che stravolgeva profondamente gli equilibri della seconda parte della Costituzione repubblicana ed era stata votata dal centrodestra, senza il necessario coinvolgimento dell’opposizione in Parlamento.

Dall’esito di questi due risultati referendari si può ricavare che il popolo italiano richiede alle forze politiche di evitare gli scontri sulle regole del gioco. Gli italiani vogliono che sulla legge elettorale, come sulle riforme costituzionali, ci sia un serrato confronto in Parlamento e si approvino riforme largamente condivise.

Questo non impedisce agli italiani di giudicare l’operato delle maggioranze di governo che ci sono nel Paese o a livello territoriale e di votare in maniera massiccia quando si tratta di scegliere chi dovrà governare il Paese, gli organi di governo del Comune, della Provincia, della Regione. In questo caso i cittadini votano laicamente sulla base della credibilità delle coalizioni e delle proposte politiche che esse avanzano.

Il risultato dei referendum elettorali, tuttavia, deve essere letto anche alla luce della concreta evoluzione del sistema politico italiano che si cominciata a consolidare negli ultimi due anni. Dai dati delle elezioni politiche del 2008, delle elezioni europee di quest’anno e dalla partecipazione alle coalizioni che le diverse forze politiche hanno avuto nelle recenti elezioni amministrative emerge che gli italiani non vogliono un bipartitismo entropico, ma una semplificazione e razionalizzazione del sistema politico intorno alle due principali forze politiche su cui sono imperniate le coalizioni di governo a livello nazionale e territoriale (PDL e PD) e a quelle forze politiche (la Lega, l'IDV, l'UDC, ma potenzialmente anche la Sinistra) che siano in grado di superare le soglie di sbarramento previste dalle diverse leggi elettorali e di veicolare in modo consistente interessi e valori che altrimenti non troverebbero rappresentanza nel sistema politico.

Sulla base di questi dati le forze politiche possono avviare un confronto approfondito in Parlamento per approvare, per la prossima legislatura, una riforma elettorale che consenta di contemperare l’esigenze del pluralismo, della democrazia, della rappresentanza e della governabilità.

Per realizzare anche in Italia una “democrazia che decida” non c’è bisogno di scorciatoie presidenziali o plebiscitarie ma di una nuova legge elettorale, della modifica dei regolamenti parlamentari e di una riforma del sistema parlamentare, che superi i limiti del bicameralismo perfetto e istituisca un Senato delle autonomie per raccordare il Parlamento con la nuova forma di stato che è stata introdotta nella Costituzione dalla riforma costituzionale del 2001.

Su queste esigenze di riforma istituzionale c’è l’accordo teorico di tutte le forze politiche, ma occorre trovare in Parlamento quella larga condivisione che gli italiani chiedono alla politica quando si tratta di decidere le regole del gioco. Il sistema politico italiano, dopo una lunga fase di transizione, potrà trovare una nuova legittimazione e fornire risposte chiare ai profondi bisogni del Paese se le forze politiche di maggioranza e di opposizione riusciranno a trovare l’accordo su questo percorso di riforma.

sabato 13 giugno 2009

Dalle "elezioni pop" alla realtà dell'Europa

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Le tornata elettorale del 6 - 7 giugno univa in Italia alle elezioni del Parlamento europeo l'elezione di 4821 Comuni e 62 Province. Poteva essere una vera occasione di confronto sul futuro dell'Europa e dei nostri territori, ma il circuito mediatico ha invece preferito concentrare tutte le sue attenzioni sulle vicende di Berlusconi, tanto che il voto è stato descritto come "elezioni pop".

Il circuito mediatico ha cercato di trasformare il voto in un referendum pro o contro Berlusconi, con l'intento più o meno consapevole di spingere l'elettorato ad assecondare l'evoluzione del sistema politico italiano verso un modello tendenzialmente bipartitico di democrazia plebiscitaria. I due principali settimanali italiani hanno fotografato prima del voto questa tendenza alla personalizzazione della politica: L'Espresso con il "Silvio circus" e Panorama con "Ultima sfida" puntando sul confronto personale tra Berlusconi e Franceschini.

I risultati delle elezioni europee mostrano chiaramente anche oggi - come già era chiaro nelle elezioni politiche del 2008 - che gli italiani non vogliono una semplificazione della politica fino all'entropia. Hanno riconosciuto un forza prevalente al PDL (35%) e al PD (26%), ma ritengono essenziale che accanto ai due maggiori partiti ce ne siano altri in grado di rappresentare interessi e valori che altrimenti non sarebbero rappresentati nel sistema politico: la Lega (10%), l'IDV (8%), l'UDC (6,5%). Resta aperto il problema della rappresentanza politica di diverse formazioni della sinistra che non hanno ottenuto seggi nel Parlamento europeo, a causa della soglia di sbarramento del 4%, ma che nel complesso raggiungono il 9% dei voti.

Il pluralismo del sistema politico italiano non è atipico, ma trova riscontro in tutta l'Europa, sia nei sistemi politici dei diversi Stati membri, sia nell'articolazione dei gruppi politici del Parlamento europeo, nel quale ci sono due gruppi principali (PPE e PSE) ed almento altri 5 gruppi, ma nessun gruppo ha la possibilità di costruire una maggioranza politica da solo.

L'adesione del PDL al gruppo popolare europeo e del PD al nuovo gruppo dell'Alleanza dei democratici e socialisti europei segnano finalmente una tendenza alla ricomposizione del sistema politico italiano intorno agli assi di riferimento del sistema politico europeo.

Il PPE ha anticipato i tempi nell'evoluzione del panorama politico europeo: è andato oltre i confini del popolarismo del '900 ed è divenuto il primo gruppo del Parlamento europeo, aprendo le porte all'adesione di forze politiche diverse (gollisti francesi, conservatori inglesi, Forza Italia...). L'adesione del PDL al PPE porta a compimento il cammino intrapreso dalle forze di centrodestra italiane (Forza Italia e Alleanza nazionale) con la nascita del nuovo partito. Occorre segnalare che tutto ciò avviene quando la scelta di apertura del PPE comincia a mostrare alcuni segni di indebolimento a causa della fuoriuscita dal gruppo dei conservatori britannici.

La nascita dell'Alleanza dei democratici e socialisti europei segna una svolta importante per le forze di centrosinistra in Europa. Fino ad oggi i partiti europei di matrice socialista/laburista avevano preferito mantenere in Europa un forte legame con i valori del socialismo del '900 ed avevano rifiutato di aprire il gruppo socialista al contributo di altre forze progressiste o democratiche. Il risultato elettorale in Europa e, soprattutto, la necessità di confrontarsi con l'esperienza originale del Partito Democratico italiano hanno portato alla scelta di costituire la nuova alleanza.

Si apre così la prospettiva concreta di offrire una sponda unitaria alle diverse forze democratiche, ecologiste, riformatrici e progressiste per rafforzare la costruzione dell'Europa politica e favorire l'incontro con le principali forze progressiste nel mondo: il Democratic Party di Obama, l’Indian national congress di Sofia Gandhi e il Partito dei lavoratori di Lula.

martedì 10 marzo 2009

Il mondo che vorrei

Il 7 marzo 2009 Fabio Fazio ha intervistato il Muhammad Yunus a "Che tempo che fa".

Yunus ha affermato che "la terribile crisi che stiamo attraversando è stata creata da un piccolo gruppo di persone, ma avrà effetti negativi su tutti. Saranno ovviamente i poveri a subirne le conseguenze più devastanti e questo non è giusto" e ha aggiunto che occorre approfittare di questo momento di crisi per cambiare qualcosa nel funzionamemnto dell'economia. Basterebbe "sguinzagliare tutto il potenziale tecnologico che abbiamo a disposizione per trovare le soluzioni, magari coinvolgendo le persone che sono realmente implicate nella crisi".

Ecco una bella pagina del suo libro "Un mondo senza povertà", Feltrinelli 2008.

"Il rapido passo del mutamento conferisce un'importanza critica a che ognuno si faccia una chiara idea della direzione da dare allo sviluppo del mondo e si può sperare di trovare e mantenere la giusta rotta solo se siamo d'accordo sul tipo di mondo che vogliamo. per questo è necessario pensare in grande, ancora più in grande di quanto ci sembri possibile osare, se non vogliamo sprecare l'occasione senza precedenti che abbiamo alla nostra portata. Dobbiamo sforzarci di immaginare i progetti più azzardati e ambiziosi e poi cercare di realizzarli.

Ecco una lista dei miei sogni, quelli che vorrei vedere diventare una realtà nel 2050. E' vero sono solo sogni, ma l'importante, quello che spero, è che in gran parte siano anche i vostri così come fra quelli che ciascuno di voi coltiva ce ne sono sicuramente moltissimi che sono a mia volta pronto a condividere.

  • Non ci saranno più poveri, mendicanti, bambini di strada, in nessun posto del mondo. Ogni paese avrà il proprio museo nazionale della povertà e quello globale si troverà nel paese che ne è uscito per ultimo.
  • Non ci sarà più bisogno di visti e passaporti per nessuno, in qualunque posto voglia andare. Tutti gli abitanti della Terra saranno cittadini globali a tutti gli effetti e godranno di pari diritti.
  • Non ci saranno più corse al riarmo, guerre e militari per combatterle. Non ci saranno più ordigni nucleari e altre armi di distruzione di massa.
  • In tutto il mondo non ci saranno malattie incurabili, tumori e Aids compresi. Le malattie diverranno qualcosa di raro, qualcosa che saremo in grado di curare e guarire alla prima manifestazione. Tutti potranno disporre di assistenza medica ad alto livello e la mortalità infantile, assiem a quella per parto, non saranno che ricordi del passato.
  • Ci sarà un sistema educativo globale accessibile a tutti in ogni parte del mondo. Tutti i bambini potranno imparare e crescere con entusiasmo e divertimento. Tutti i bambini cresceranno condividendo la propria esperienza efacendosi carico di quella degli altri, convinti che il proprio sviluppo debba essere compatibile con quello di tutti.
  • Il sistema economico favorirà la condivisione delle risorse da parte dei singoli individui, delle aziende e delle istituzioni in modo che tutti contribuiscano al benessere di ciascuno fino a cancella re la sperequazione nel reddito. Disoccupazione e stato assistenziale diventeranno parole disusate.
  • Le imprese con finalità sociali rappresenteranno una quota importante del sistema economico.
  • Ci sarà un'unica valuta globale e nessuno userà più banconote o monete.
  • sarà sviluppata una tecnologia per rendere accessibili e facilmente controllabili tutti i conti correnti e le transazioni riconducibili a uominim politici, funzionari dello stato, uomini d'affari, servizi segreti, organizzazioni clandestine e gruppi terroristici.
  • Tutte le persone del mondo potranno accedere facilmente a ogni tipo di moderno servizio finanziario.
  • Tutti si impegneranno a fondo per mantenere un tenore di vita sostenibile ricorrendo a tecnologie adeguate. La maggior parte dell'energia verrà ricavata dal vento, dal sole e dall'acqua.
  • Sapremo come prevedere terremoti, cicloni, tsunami e altri tipi di calamità naturali con precisione e tempestività sufficienti a rendere minimi i danmni e le perdite in vite umane.
  • Non ci saranno più disciminazioni basate sulla razza, la religione, il colotre della pelle, il sesso, l'orientamento sessuale, le convinzioni politiche, la lingua, la cultura o su altri fattori.
  • Non si userà più la carta e non ci sarà bisogno di tagliare alberi. Se necessario useremo carta sintetica, riciclabile e biodegradabile.
  • La connettività informatica sarà senza fili e praticamente gratuita.
  • Tutti potranno leggere e ascoltare qualsiasi cosa usando la propria lingua. La tecnologia farà sì che pur continuando a scrivere, leggere o parlare nella nostra lingua, chi ci ascolta o chi ci legge percepisca il messaggio nella sua. Ci saranno software e dispositivi in grado di fornire la traduzione simultanea sia del discorso parlato sia di qualsiasi file. Potremo guardare qualsiasi canale televisivo e ascoltare l'audio nella nostra lingua.
  • Ogni cultura, ogni religione, e ogni gruppo etnico potranno svilupparsi in piena libertà e contribuire così sul piano della bellezza e della creatività ala meravigliosa orchestra dell'umanità.
  • Ovunque si potrà vivere in un'atmosfera di continua innovazione, di positiva evoluzione istituzionale e di rielaborazione critica di idee e concetti.
  • Per tutti sarà un mondo di pace, amicizia e armonia capace di allargare i confini delle potenzialità umane.

Si tratta di obiettivi che potremo sicuramente raggiungere se lavoreremo a questo scopo, ed è mia convinzione che, inoltrandoci nel futuro, troveremo questi sogni sempre più alla nostra portata".

domenica 22 febbraio 2009

Crisi e rilancio del progetto del PD

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La settimana che è alle nostre spalle è stata densa di avvenimenti traumatici che hanno accelerato bruscamente il difficile cammino del Partito Democratico.

In primo luogo, i risultati delle elezioni regionali in Sardegna hanno evidenziato la crisi di fiducia nel rapporto tra il PD e gli elettori, anche in una situazione in cui la durezza dello scontro, la campagna elettorale e le qualità del candidato potevano far sperare in un esito diverso. Era evidente, in verità, che le elezioni anticipate in Sardegna erano in gran parte dovute alle spaccature interne al PD sardo e alla mancanza di un progetto unitario. Dopo la sconfitta, Renato Soru ha affermato che non lascerà la politica, ma che resterà in Consiglio regionale e che lavorerà per la nascita di un vero Partito Democratico sardo, realmente aperto alla partecipazione e radicato in tutti i paesi.

Il voto sardo ha evidenziato ancor di più le contraddizioni in cui era ormai caduto il progetto del PD ed ha spinto Walter Veltroni ad annunciare in modo improvviso le dimissioni da segretario del Partito. Nella drammatica conferenza stampa del 18 febbraio Veltroni ha dichiarato che faceva questa scelta "per il PD, un partito nato per cambiare l’Italia, non per tenere insieme tutto e il contrario di tutto". Veltroni ha ammesso che non è riuscito a realizzare questo progetto ed ha aggiunto: "è per questo che lascio e chiedo scusa”.

In un momento così difficile, sento innanzitutto il dovere di ringraziare pubblicamente Renato Soru e Walter Veltroni per il lavoro che hanno svolto e le scelte difficili che hanno fatto. Allo stesso tempo, sento l'esigenza di dare un contributo al dibattito in corso sul futuro del PD.

La possibilità della sconfitta - ci illumina Altiero Spinelli - deve essere sempre accettata equanimemente all’inizio di ogni avventura creatrice. Bisogna sentire che il valore di un’idea, prima ancora che dal suo successo finale, è dimostrato dalla sua capacità di risorgere dalle proprie sconfitte.” Se vogliamo però rilanciare l'avventura creatrice del Partito Democratico dobbiamo affrontare - con grande sincerità - le ragioni che hanno impedito di tradurre in successo un'idea che resta senza dubbio valida.

Il PD è un partito nato come un progetto ambizioso e a lungo termine - ha detto Veltroni - "finalizzato a far diventare il riformismo maggioranza nel paese, un partito inserito nella società, capace di raccoglierne le istanze e gli umori. Capace di voltare pagina e superare questa Italia da Gattopardo”.

E' un partito che ha cercato di esaltare la partecipazione democratica alla vita politica che si è espressa soprattutto nell'utilizzo delle primarie. Le primarie, però, dovrebbero servire soprattutto a scegliere i candidati alle cariche elettive pubbliche e non sono sempre la panacea di tutti i mali. Quando vengono utilizzate per la selezione delle cariche interne di partito possono creare dificoltà o contraddizioni insanabili.
La grandissima legittimazione ricevuta dalle primarie di ottobre dal segretario del partito non ha aiutato la costruzione di processi di decisione all'interno del partito che permettessero la selezione democratica delle candidature nelle elezioni del 2008. Più recentemente, non ha aiutato a trovare la sintesi su alcune spinose scelte politiche (rapporti con i sindacati, testamento biologico ...) che hanno diviso il partito. Su un altro piano, l'elezione del segretario regionale del PD sardo nelle primarie di ottobre ha reso ancora più evidente la spaccatura tra una parte del partito e la Giunta regionale.

Da queste premesse, non ho condiviso e non posso condividere la proposta avanzata da molte parti di indire subito le primarie per scegliere il futuro segretario del partito, dopo le dimissioni di Veltroni. Una scelta di questo tipo non avrebbe tenuto conto delle difficoltà che derivano dalla scelta dello strumento delle primarie per la selezione dei cariche interne al partito. Le primarie avrebbero aperto una discussione lacerante tutta interna al partito, a pochi mesi dalle elezioni amministrative ed europee di giugno, in un momento in cui si chiede al PD una posizione unitaria su alcune scelte di fondo e una reponsabilità unitaria rispetto agli esiti delle prossime elezioni. Il ricorso immediato alle primarie avrebbe inoltre sancito, a mio modo di vedere, che il PD era ormai dominato da logiche ombelicali e da una cultura plebiscitaria e dell'emergenza.

Per questo motivo, di fronte alle dimissioni repentine del segretario, ho apprezzato la scelta del gruppo dirigente del PD di convocare immediatamente l'assemblea costituente per discutere democraticamente sul da farsi. In un momento di crisi come questo c'è la necessità di una risposta rapida: il Paese ha bisogno di un partito di opposizione che discute, si divide, ma poi vota e decide una linea politica credibile.

In maniera opportuna, diversi Presidenti di Regione, Presidenti di Provincia e Sindaci hanno segnalato la necessità di una scelta responsabile che consentisse da subito di eleggere un segretario, di cambiare l'organizzazione del partito raccordandola maggiormente ai territori, di sciogliere i principali nodi politici che il PD deve affrontare. Queste idee sono state felicemente riassunte dall'intervento di Vasco Errani alla riunione dell'Assemblea costituente del 20 febbraio.

La scelta di eleggere direttamente il segretario del partito nell'assemblea costituente non deve portare ad una chiusura a riccio dei gruppi dirigenti. In questa prospettiva, proprio in vista dell'appuntamento elettorale di giugno, le primarie dovrebbere essere efficaciamente utilizzate per scegliere in modo democratico - secondo quanto previsto dallo Statuto del PD e come è già avvenuto in molti comuni e province - i candidati Sindaci e Presidenti di provincia o, anche, per scegliere i candidati al Parlamento europeo.

Alla luce delle scelte che si faranno in questi mesi e con una verifica seria dei risultati conseguiti nel voto di giugno, il PD potrà affrontare il congresso in autunno per scegliere democraticamente il nuovo segretario nazionale e definire una linea chiara e riformatrice per i prossimi anni che consenta di costruire candidature, alleanze politiche e programmi di governo condivisi dalla maggioranza degli italiani.

La discussione trasparente che c'è stata nell'assemblea di sabato scorso, l'elezione di Dario Franceschini, le parole pronunciate dal nuovo Segretario del PD, ci aiutano a sperare che da questa crisi possano emergere con chiarezza le condizioni per il rilancio del progetto del PD.

sabato 31 gennaio 2009

La nostra scuola, il nostro futuro.

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Ormai tutti si interrogano sulla dimensioni e sulla durata della recessione in cui è caduta l'economia mondiale. Le ultime stime della crescita mondiale per il 2009 sono limitate allo 0,5% e l'ONU preannuncia che nel mondo ci saranno 50 milioni di disoccupati in più. In Italia la recessione è ancora più profonda (il FMI stima -2% nel 2009 e -0,1% nel 2001).

Di fronte a queste difficoltà, ormai evidenti, le reazioni dei governi non sono tutte uguali: alcuni si preoccupano di salvare soprattutto le banche e le industrie in crisi, trascurando la situazione di sofferenza economica e la paura del futuro che ormai si è diffusa tra la popolazione; altri si stanno prodigando con piani di investimento a medio e lungo termine sulle infrastrutture e, più in generale, sullo stato sociale.

Dalle prime scelte di politica economica e di politica estera di Obama emerge una visione che supera l'approccio del passato e cerca di dirottare la spesa pubblica, dalla spesa bellica alla spesa sociale per infrastrutture, ambiente, sanità e scuole. In un momento di grave recessione economica si focalizza l'attenzione su quegli investimenti che possano rilanciare l'economia e offrire una protezione e una speranza nel futuro alle persone.

Proprio sulla scuola è impressionante la differenza tra le scelte intraprese dall'amministrazione Obama rispetto a quelle stabilite dal Governo Berlusconi. Il Piano di sviluppo approvato dalla Camera negli USA prevede 145 miliardi di dollari di investimenti sulle scuole (circa 110 miliardi di euro). La manovra finanziaria approvata dal Governo italiano con la legge 133/08 prevede 8 miliardi di tagli alle scuole dal 2009 al 2012 (cfr. art. 64, comma 6).

Come si vede chiaramente non tutti i governi sono uguali: le nude cifre dimostrano che non tutti pensano alla scuola e al futuro.

sabato 3 gennaio 2009

Priorità condivise

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Nei messaggi di fine anno del Presidente della Repubblica e del Papa è emersa una comune consapevolezza della crisi che oggi attraversa il mondo e la volontà incoraggiare la speranza di un cambiamento sotto il segno della giustizia e della pace, di uno sviluppo equilibrato dell'economia e della società.

Il Presidente Giorgio Napolitano ha rivolto agli italiani un appello a reagire alla crisi senza paura, "con coraggio e lungimiranza":
"Facciamo della crisi un’occasione per liberarcene, guardando innanzitutto all’assetto delle nostre istituzioni, al modo di essere della pubblica amministrazione, al modo di operare dell’amministrazione della giustizia."
"Dalla crisi deve, e può, uscire un’Italia più giusta. Facciamo della crisi un’occasione per impegnarci a ridurre le sempre più acute disparità che si sono determinate nei redditi e nelle condizioni di vita; per riformare un sistema di protezione sociale squilibrato e carente; per elevare, a favore dei figli delle famiglie più modeste, le possibilità di istruzione fin dai primi anni e di ascesa nella scala sociale."
"Ci sono stati in questi mesi dibattito e confronto in Europa e in Italia sui temi del clima e dell’energia, sui temi dell’innovazione necessaria e possibile. Lo sforzo che in questo momento va compiuto per sostenere le imprese – grandi, medie e piccole – che sono in difficoltà pur essendosi mostrate capaci di ristrutturarsi e di competere, non può essere separato dall’impegno a promuovere indirizzi nuovi per lo sviluppo futuro dell’attività produttiva in Italia. Vanno in particolare colte le opportunità offerte dalle tecnologie più avanzate per l’energia e per l’ambiente. Facciamo della crisi l’occasione per rinnovare la nostra economia, e insieme con essa anche stili di vita diffusi, poco sensibili a valori di sobrietà e lungimiranza."
"Facciamo della crisi un’occasione perché l’Italia cresca come società basata sulla conoscenza, sulla piena valorizzazione del nostro patrimonio culturale e del nostro capitale umano."
"Nel far fronte alla crisi, l’Italia non agisce da sola. Agisce come parte di quella Europa unita che si conferma come non mai un punto di riferimento essenziale: e siamo orgogliosi di avere concorso con tenacia e coerenza a costruirla."

Papa Benedetto XVI ha centrato il suo discorso sul tema "Combattere la povertà, costruire la pace", sottolineando come "la povertà risulta sovente tra i fattori che favoriscono o aggravano i conflitti, anche armati", ed ha infine così concluso il suo discorso:
"la Comunità cristiana non mancherà pertanto di assicurare all'intera famiglia umana il proprio sostegno negli slanci di solidarietà creativa non solo per elargire il superfluo, ma soprattutto per cambiare «gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società». Ad ogni discepolo di Cristo, come anche ad ogni persona di buona volontà, rivolgo pertanto all'inizio di un nuovo anno il caldo invito ad allargare il cuore verso le necessità dei poveri e a fare quanto è concretamente possibile per venire in loro soccorso. Resta infatti incontestabilmente vero l'assioma secondo cui «combattere la povertà è costruire la pace»".

Sono parole che richiamano il messaggio che Obama ha rivolto agli americani e al mondo intero. All'inizio del nuovo anno, mi auguro che siano queste le parole, i valori, le priorità che guideranno le forze politiche e sociali italiane e l'attività del Governo e del Parlamento.