sabato 6 marzo 2010

Il Governo è "incompetente"

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Il Consiglio dei ministri di ieri ha emanato un decreto legge per sanare la situazione che si è venuta a creare nel Lazio e in Lombardia, relativamente alla presentazione delle liste legate ai candidati di centrodestra.

Il decreto cosidetto interpretativo prevede che il diritto all’elettorato attivo e passivo sia preminente rispetto alle formalità, che ci sono 24 ore di tempo (a partire dall’accettazione delle liste) per sanare le eventuali questioni di irregolarità formale, che le 24 ore decorrono dalla pubblicazione del decreto (solo ed unicamente per quanto riguarda le elezioni regionali che si terranno in Lazio e Lombardia) e che si possa dimostrare di essere stati presenti nell’ufficio competente al momento della chiusura della presentazione delle liste con ogni mezzo di prova.

Il percorso intrapreso dal Governo è comunque molto controverso, perché il Governo non può intervenire con decreto legge nella materia elettorale.

L'art 15 legge 400 del 23 agosto 1988, che disciplina il sul potere normativo del governo e che è pubblicata sullo stesso sito di Palazzo Chigi, vieta espressamente una misura di questo tipo poiché stabilisce che il Governo non può provvedere con decreto legge nelle materie indicate nell’articolo 72 della Costituzione, tra le quali rientra anche la materia elettorale.

L'incompetenza dell'intervento del Governo con decreto legge in materia elettorale è rafforzata rispetto alla materia elettorale regionale. L'art. 122 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, dispone che "Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi."

Le Regioni hanno competenza piena nella disciplina della loro legge e del procedimento elettorale regionale, tanto che la legge 5 giugno 2003, 131, all'art. 10, comma 2, lett.f, dispone che i comizi elettorali sono convocati dal Prefetto solo fino a quando le Regioni non abbiano disposto diversamente con loro legge.

In verità, la situazione della Lombardia è diversa da quella della Regione Lazio. La Regione Lombardia non ha approvato una disciplina autonoma e quindi si fa ricorso alla legge previgente elettorale statale e, per questo, le elezioni sono state convocate dal Prefetto di Milano il 2 febbraio 2010. La Regione Lazio, invece, con legge regionale n. 2 del 2005, ha provveduto a disciplinare le elezioni regionali, tanto è vero che le prossime elezioni del 28 marzo sono state convocate dal Presidente reggente della Regione Lazio il 26 gennaio 2010.

Nel caso del Lazio, quindi, la norma di legge statale sarebbe del tutto incompetente ad interpretare le norme del procedimento elettorale, poiché esso è disciplinato con esplicitamente legge regionale. Ma l'incompetenza del Governo può estendersi a tutta la materia del "procedimento elettorale regionale", perchè si tratta di una materia non nominata che rientra, pertanto, nella competenza esclusiva delle Regioni ai sensi del nuovo art. 117, comma 4, della Costituzione: "Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato."

Da queste considerazioni si può dedurre facilmente che il Governo non ha alcuna competenza per intervenire con un decreto legge, nemmeno in via interpretativa, sulla legislazione e sul procedimento elettorale regionale.

martedì 5 gennaio 2010

Riforme condivise

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Il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica ha ancora una volta richiamato gli italiani alla necessità di riforme che si ispirino a valori condivisi: "Il nuovo slancio di cui ha bisogno l'Italia, per andare oltre la crisi, verso un futuro più sicuro, richiede riforme, richiede convinzione e partecipazione diffuse in tutte le sfere sociali, richiede recupero di valori condivisi".

Nel messaggio c'è la piena consapevolezza della crisi che ha colpito l'Italia come la gran parte dell'economia mondiale e, pertanto, il richiamo alle riforme non si limita alle riforme istituzionali ma si allarga alle riforme di natura sociale che possano affrontare quelle priorità - sud, giovani, equità sociale - che costituiscono i nodi su cui si fondano le profonde disuguaglianze e ingiustizie del nostro Paese.

Sulle tematiche socio-economiche la distanza tra le forze politiche è molto grande. Lo dimostrano le leggi finanziarie elaborate dal Ministro Tremonti e approvate dal Parlamento con un continuo ricorso al voto di fiducia, con le quali si è deciso di galleggiare sulla difesa dell'esistente senza affrontare i mali strutturali della nostra economia ed investire su rinnovato ruolo dell'Italia nel mondo, come bene ha illustrato Stefano Fassina.

Sulle priorità indicate da Napolitano, le soluzioni che le forze politiche indicano sul Sud e sui giovani sono molto diverse. Il solo vero spazio di collaborazione in Parlamento tra la maggioranza e l'opposizione potrebbe essere costituito da una profonda riforma degli ammortizzatori sociali, un obiettivo indicato dai compianti D'Antona e Biagi, che sembra universalmente condiviso a livello politico e a livello sindacale.

In merito alle riforme istituzionale, il percorso di attuazione del nuovo titolo V, parte II, della Costituzione avviato in questa legislatura con la legge delega sul federalismo fiscale dovrebbe spingere le forze politiche a concentrarsi su puntuali riforme che trovino sufficiente consenso e condivisione nel Parlamento, in un'opera di manutenzione costituzionale che non miri a stravolgere la Costituzione o a forzare il quadro politico esistente.

Tutte le forze politiche sono consapevoli che occorre mettere mano ad una riforma del sistema parlamentare, per superare i limiti del bicameralismo perfetto, attraverso la previsione di una sola Camera con funzioni di indirizzo politico e l’istituzione di un Senato delle autonomie che consenta di raccordare la funzione legislativa del Parlamento con la nuova forma di stato introdotta dalla riforma costituzionale del 2001, a partire dalle indicazioni contenute nella cd. bozza Violante e degli ordini del giorno approvati dal Senato della Repubblica il 2 dicembre scorso.

Il richiamo del Presidente della Repubblica alla necessaria collaborazione tra maggioranza e opposizione su un definito percorso di riforme istituzionali ha trovato largo accoglimento tra le forze politiche.

Il PD, l'UDC e la maggioranza del PDL ritengono che occorra avviare immediatamene il confronto in Parlamento secondo le indicazioni emerse dal messaggio presidenziale e dagli ordini del giorno approvati in Senato.

Questo percorso non è invece condiviso dall'IDV, che ritiene impossibile in questo momento qualsiasi collaborazione tra maggioranza e opposizione sulle riforme costituzionali e, specularmente, da una parte del PDL, che mira ad una riforma complessiva della Costituzione che tocchi anche la prima parte e i principi fondamentali, secondo quando indicato da un'intervista a Libero del Ministro Brunetta.

La LEGA, pur condividendo il merito delle proposte, ha sottolineato la necessità di istituire un'apposita sede, una "convenzione per le riforme", composta da parlamentari e da rappresentanti delle autonomie territoriali, che possa consentire un sereno confronto costituzionale fuori dalle dinamiche che caratterizzano il dibattito politico tra la maggioranza e le opposizioni in Parlamento.

Da molte parti si è osservato che questa proposta farebbe solo perdere tempo, poiché presuppone l'approvazione di una legge costitituzionale per l'istituzione di quest'organismo autonomo. In verità, occorre aggiungere che la storia delle diverse "Commissioni" istituite per le riforme costituzionali dimostra che ben difficilemte e possibile aggirare il percorso di modifiche puntuali che la Costituzione prevede per la sua manutenzione.

Dal mio punto di vista, se si ritiene necessario coinvolgere le autonomie territoriali nel dibatto sulle riforme costituzionali da avviare in Parlamento, la strada maestra resta quella dell'attuazione dell'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, prevedendo nei regolamenti parlamentari la partecipazione dei rappresentanti delle regioni e degli enti locali nella Commissione parlamentare per le questioni regionali. In questa sede le forze politiche potrebbero confrontarsi in modo appropriato con le autonomie territoriali sulle leggi di attuazione della riforma costituzionale del 2001 e sulle necessarie modifiche da apportare al nostro farraginoso sistema parlamentare.