giovedì 8 maggio 2014

La sfida del cambiamento per il sindacato


La conclusione del congresso nazionale della CGIL consente di fare il punto sulle sfide che oggi il sindacato si trova ad affrontare. Al di là del confronto aspro che si è aperto con il Governo, la vera discussione interna alla CGIL è stata tra la linea della Camusso, che ha ribadito la strategia di azione unitaria con CISL e UIL, e la linea proposta da Landini, che spingeva per la differenziazione della CGIL dagli altri sindacati.

Negli anni della recessione i sindacati italiani hanno giocato in difesa di fronte ai cambiamenti sociali imposti dalle politiche neoliberiste in Europa, che hanno spinto gli Stati membri della UE a svalutare il lavoro, in mancanza della possibilità di un governo comune della politica economica e monetaria. Per lungo tempo i sindacati si sono divisi ed hanno scelto di ripiegarsi a difesa degli spazi conquistati, per fare da ammortizzatore sociale attraverso il loro sistema di servizi, rinunciando a definire una strategia unitaria per riportare il lavoro al centro dell'attenzione come motore dello sviluppo e come base fondamentale della nostra democrazia repubblicana.

Solo nel settembre 2013, forse anche grazie al nuovo quadro politico che si è venuto a determinare nel Paese, si è riavviata una strategia unitaria che ha portato alla sottoscrizione del documento unitario sottoscritto dalla Confindustria e dai sindacati in cui, di fronte allo stallo della contrattazione derivante dalla recessione, si è proposto al Governo uno scambio: le parti sociali hanno accettato una severa azione di riduzione della spesa pubblica in cambio di un intervento che portasse ad una sensibile riduzione del cuneo fiscale che penalizza i redditi da lavoro.

La ripresa di un percorso unitario tra le organizzazioni sindacali ha trovato una conferma importante, dopo pochi mesi, nell'approvazione del "Testo unico della rappresentanza" del 10 gennaio 2014, documento che rappresenta il passaggio fondamentale per l'avvio di un rinnovato sistema condiviso di contrattazione dopo anni di divisioni.

La richiesta unitaria delle parti sociali sul piano della politica economica ha trovato una risposta nel Documento di economia e finanza per il 2014, nel voto del Parlamento per il rinvio del pareggio di bilancio e, quindi, nel "decretolegge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale". La manovra economica del Governo Renzi mira infatti a rilanciare la domanda interna con una restituzione di un credito di imposta di circa 80 euro sul lavoro dipendente al di sotto di una certa soglia di reddito ed, in parte, a limitare il peso dell'Irap sulle imprese, attraverso una sensibile riduzione della spesa pubblica.

Il Governo, in questo modo, ha tenuto conto nella sostanza delle indicazioni delle parti sociali, senza il bisogno di un preventivo processo di concertazione con le parti sociali sulle singole scelte da compiere.  Lo stesso approccio è stato utilizzato dal Governo anche sul tema della riforma del lavoro (Jobs act) e, da ultimo, sul tema della riforma della PA, per il quale si è avviato un percorso di consultazione pubblica aperta attraverso la lettera che Renzi e Madia hanno inviato ai lavoratori delle pubbliche amminuistrazioni, che dovrà portare entro il 13 giugno all'approvazione in Consiglio dei Ministri di concreti provvedimenti normativi.

Di fronte alla rapidità del percorso avviato dal Governo Renzi i sindacati non possono restare sulla difensiva e difendere l'idea astratta della "concertazione preventiva", ma devono accettare la sfida del cambiamento mettendo al centro del dibattito pubblico il tema del lavoro (del lavoro esistente e di quello che non c'è, dei lavori nelle diverse sfaccettature che essi assumono nella società globalizzata) attraverso il rilancio della rappresentanza unitaria dei lavoratori.

In primo luogo, i sindacati devono evitare assolutamente di ripetere l'errore compiuto molto spesso in questi anni: dividersi sulle scelte e sulle proposte da portare al confronto con il Governo e il Parlamento. La nomina di Poletti a Ministro del Lavoro è l'esempio che il percorso di autoriforma unitaria che il sistema delle cooperative ha compiuto in questi anni paga nel rapporto con la politica e le istituzioni.

Un simile percorso unitario non è avvenuto tra i sindacati confederali, ma può essere avviato a partire dal nuovo clima unitario che si è creato in questi mesi, che deve mirare a ripristinare un processo di “dialogo sociale e partecipazione dei lavoratori”, affrontando le seguenti priorità:
  •  l'estensione del beneficio di 80 euro agli incapienti ed ai pensionati al di sotto di una soglia di reddito: tale scelta un impiego di risorse che non può essere coperto solo dai tagli di spesa, ma che dovrebbe trovare copertura attraverso lo spostamento della tassazione dai redditi alle rendite e da una più decisa azione di contrasto all'evasione fiscale;
  • il rafforzamento delle politiche attive per il lavoro, attraverso la progressiva implementazione della "Garanzia Giovani" e la definizione di una tutela generalizzata per chi non ha lavoro e per chi lo perde, attraverso il ripensamento complessivo degli ammortizzatori sociali e il rafforzamento della rete dei servizi per il lavoro;
  • l'attuazione del testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio, attraverso il riconoscimento del prioritario ruolo delle RSU nel sistema di contrattazione, non solo decentrato, ma anche nazionale: questo passaggio può essere avviato volontariamente dalle parti per poi trovare conferma anche in una legge;
  • la ripresa della contrattazione nella PA: visto il vincolo legislativo che impedisce di riaprire la contrattazione economica livello nazionale prima del 2015, si può comunque avviare da subito una contrattazione per la parte normativa, sia sulle regole della contrattazione decentrata (in modo da individuare risorse utilizzabili per valorizzare nel concreto la professionalità e la produttività dei dipendenti), sia su alcuni aspetti urgenti come la mobilità del personale derivante dai processi di riordino istituzionale, sia su aspetti strategici come la riduzione e rimodulazione dell'orario di lavoro;
  • una strategia unitaria dei sindacati in Europa, a partire dalle proposte avanzate da Etuc-Ces nel Piano proposto per le prossime elezioni del Parlamento europeo "A New Path for Europe": tale strategia dovrebbe trovare ricadute concrete anche nella richiesta al Governo di rivedere il patto di stabilità interno per garantire la ripresa degli investimenti pubblici in settori importanti per la tutela di servizi essenziali (difesa del suolo, edilizia scolastica, istruzione e ricerca, viabilità e mobilità sostenibile...);
  • la definizione di un percorso concreto, con tappe definite, che porti all'unità delle Confederazioni sindacali, come passaggio essenziale per un ripensamento complessivo delle organizzazioni sindacali, che rimetta al centro l'unità dei lavoratori e la tutela del lavoro nelle sue molteplici sfaccettature.
Ad un sindacato che cogliesse in modo innovativo ed intelligente la sfida dell’unità e del cambiamento potrebbero tranquillamente iscriversi non solo i pensionati, ma anche i tanti lavoratori e giovani che oggi non trovano adeguata protezione nella società.

mercoledì 23 aprile 2014

La svolta di Renzi e la prospettiva europea

A oltre 4 mesi dalle primarie del PD e a 2 mesi dalla formazione del Governo Renzi è possibile fare una primo bilancio della svolta politica che si è realizzata in Italia nel 2014.

Alle primarie del PD si sono confrontate 3 opzioni diverse che comunque rappresentavano una novità rispetto al passato:
  • Cuperlo voleva costruire un partito di sinistra europea, autonomo nella sua configurazione sociale e culturale, che doveva investire sui circoli e sugli iscritti, mantenendo il sostegno al Governo Letta;
  • Civati voleva ricostruire immediatamente un'alleanza di sinistra, recuperando il rapporto interrotto tra PD e SEL (dopo l'elezione del Presidente della Repubblica e la formazione del Governo Letta) attraverso un immediato ritorno alle elezioni;
  • Renzi ha proposto una svolta politica, per cambiare il gruppo dirigente che aveva governato l'Ulivo e il PD negli ultimi 20 anni, ma soprattutto per produrre un profondo cambiamento nel Governo del Paese, un cambiamento che tenesse conto delle esigenze che in questi anni sono state rappresentate soprattutto dai Sindaci.
Una volta vinta la battaglia per la segreteria del partito, il nuovo segretario si è trovato di fronte ad un bivio:
  • occuparsi del PD e spingere il Governo Letta ad un cambio di direzione visibile che tenesse conto del nuovo equilibrio creatosi nel partito;
  • prendere in prima persona la responsabilità del governo per guidare la svolta politica che era stata auspicata nelle primarie.
La discussione interna al partito ha spinto Renzi nella direzione di un suo impegno diretto per la formazione di un nuovo governo di coalizione. Questa scelta non è più il frutto, quindi, della volontà del Presidente della Repubblica di trovare una soluzione allo stallo creatosi dopo le elezioni politiche del 2013, ma risponde alla decisione  politica del partito di maggioranza relativa che ha candidato il suo segretario a guidare il Governo.

Il Governo Renzi, pertanto, è un governo pienamente politico e non un governo istituzionale di larghe intese come quello presieduto da Letta. E' un Governo che si fonda sulla volontà politica del PD di assumersi la responsabilità di imprimere una svolta visibile nella guida del Paese : attraverso precise scelte che lo facciano uscire dalla recessione e che portino a compimento, nel corso della legislatura, il percorso di riforme da lungo tempo auspicato.

Da qui il doppio binario nel rapporto con il Parlamento:
  • da un lato c'è la maggioranza che sostiene il Governo, più ristretta, che decide cosa fare nella politica economica e nelle riforme ordinarie;
  • dall'altro c'è una maggioranza più larga, che include il principale partito di opposizione, per approvare le riforme istituzionali necessarie a dare un quadro di riferimento, nuovo e condiviso, al Paese: la legge elettorale e le riforme costituzionali (del Senato e del titolo V).

Le scelte compiute dal Governo Renzi, all'inizio del suo percorso, segnano da un lato una forte discontinuità rispetto al Governo Letta: nella scelta dei Ministri, nel cambiamento dei capi di gabinetto, nelle indicazioni sulle nomine degli enti, nelle norme introdotte con il decreto sul lavoro, rispetto al percorso di riforme immaginato sulla legge elettorale e sulle modifiche della Costituzione.

Dall'altro lato, vi è una sostanziale continuità con l'azione già avviata dal governo precedente. E' stata approvata la legge di riordino degli enti locali, che prevede l'istituzione delle Città metropolitane il riordino delle Province e nuove disposizioni sulle unioni e fusioni di Comuni. E' stato varato il nuovo decreto di misure urgenti per gli enti locali (il cd. Salva Roma) che mira a risolvere i problemi di bilancio dei Comuni, attraverso norme che danno certezza alla fiscalità comunale e interventi di sostegno ai bilanci in crisi dei grandi Comuni.

La scelta di fondo che impegna il Governo per il futuro è sicuramente quella compiuta con il Documento di economia e finanza per il 2014, con il quale il Governo ha individuato il suo programma pluriennale e in base al quale il Parlamento ha votato il rinvio del pareggio di bilancio, ponendo all'Unione europea il tema del ripensamento complessivo della sua politica di austerità.

Questa scelta era necessaria per varare la manovra finanziaria definita nel decreto legge "Misure per la competitività e la giustizia sociale". Una manovra che mira a rilanciare la domanda interna con una restituzione di un credito di imposta di circa 80 euro sul lavoro dipendente al di sotto di una certa soglia di reddito e, in parte, a ridurre il peso dell'Irap sulle imprese, attraverso una riduzione molto forte della spesa pubblica.

E' probabilmente la sola scelta possibile oggi. Lo scambio tra riduzione del cuneo fiscale e riduzione della spesa pubblica è infatti il frutto delle indicazioni delle istituzioni europee fino ad oggi accettate dai governi italiani. E' anche una scelta che era stata auspicata dal documento unitario sottoscritto dalla Confindustria e dai sindacati nel settembre 2013. Ma questo scambio è alla lunga insostenibile, per il ridotto livello di spesa pubblica primaria e di investimenti pubblici che ha ormai raggiunto il Paese.

Una svolta concreta potrà nascere solo da un cambiamento dello scenario politico in Europa dopo le elezioni del prossimo 25 maggio. La vera scelta che i cittadini europei dovranno compiere è quella tra la prospettiva di continuità con le politiche di austerità imposte dai popolari che si sono ritrovati intorno alla candidatura di Juncker e la prospettiva di un nuovo patto per la crescita nell'Europa unita che le forze progressiste hanno proposto con la candidatura di Schulz alla guida della Commissione europea.


La decisione del PD di entrare nel Partito socialista europeo va nella direzione di costruire un soggetto federatore che spinga l'Europa ad uscire dall'austerità, per abbracciare la prospettiva della crescita solidale e dell'unificazione politica.

La nascita di un partito veramente europeo è una sfida che va ben oltre le elezioni europee del 25 maggio. Sulla rinnovata identità socialista e democratica del PD si può ricostruire l'autonomia politica del partito, tra i suoi iscritti, nei circoli, nell'iniziativa politica quotidiana, in modo da accompagnare l'azione del Governo Renzi con la prospettiva della costruzione di una vera alternativa politica in Italia e in Europa.

martedì 8 aprile 2014

Ciao papà

Ciao papà.

Sabato scorso te ne sei andato, a 83 anni, ed oggi è naturale e giusto che da figlio scriva qualche parola per ricordarti.

Ci hai dato un bell'esempio di vita. Una vita fondata innanzitutto sulla dignità e sul rispetto degli altri, in cui i valori di libertà e di uguaglianza si traducevano nell'agire di tutti i giorni.

Hai praticato i tuoi ideali di un comunista italiano che voleva cambiare la società: con il diritto e la democrazia; con la dignità che viene dall'impegno che si mette nella vita; con la capacità di sostenere le proprie idee rispettando le scelte (culturali, politiche, religiose, professionali) degli altri; sapendo che senza giustizia non c'è vera libertà.

Nella tua vita pubblica e privata hai seguito questi ideali, severo nell'impegno, ma con il sorriso accogliente di chi cerca di apprezzare le cose buone del mondo e i cambiamenti della società.

Da avvocato, hai cercato di aiutare i contadini e le persone più bisognose ad avere una terra da lavorare e un reddito con cui vivere.

Da dirigente di partito, hai concepito la politica come servizio alla tua comunità e non come potere.

Da sindaco, hai aiutato la tua città ad uscire dalle rovine della guerra e a ricostruire una prospettiva di vita più ricca: con una casa, l'acqua, i servizi igienici, la scuola con il tempo pieno, l'ospedale in cui curarsi, la valorizzazione dell'economia locale e dei suoi prodotti, la pratica dello sport e della cultura nel tempo libero, l'apertura all'incontro con le civiltà di terre lontane.

Da marito, hai in ogni modo favorito le scelte di nostra madre, la sua autonomia professionale e,  laicamente, hai rispettato sempre il suo credo religioso.

Da padre, ci hai insegnato ad essere autonomi e a costruire il nostro futuro sullo studio e sul lavoro ma anche ad apprezzare lo sport e il tempo libero. Abbiamo fatto delle vacanze stupende in campeggio. Un modo "socialista" di fare le vacanze, che permette a tutti di divertirsi e di conoscere altri mondi con pochi soldi  ed in cui ciascuno contribuisce in base alla capacità (organizzando la vacanza, lavando i piatti, montando la tenda o la veranda, cucinando, occupandosi della spesa ...).

Da nonno, sei stato un riferimento costante per i nipoti, una presenza silenziosa ma autorevole che ha accompagnato la loro crescita e l'ingresso nell'adolescenza.

Grazie per per quel che sei stato e per tutto quello che hai fatto.

Ciao papà.

martedì 1 aprile 2014

AUTONOMIE LOCALI: CHE FARE?


In questa settimana la Camera dei Deputati approverà in via definitiva il ddl "Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni", già votato il 26 marzo 2014 dal Senato della Repubblica, in modo che le sue disposizioni possano entrare in vigore in vista delle elezioni amministrative del 25 maggio 2014.

La legge presenta senza dubbio diverse criticità, sia rispetto alla costituzionalità di previsioni normative che eliminano l'elettività degli organi di governo provinciali e metropolitani, sia rispetto alla confusione che potrà esserci nel passaggio tra le attuali Province e i nuovi enti di governo di area vasta.

In ogni caso, esso segna un punto di svolta per le istituzioni locali, dopo il fallimento della prospettiva aperta dal decentramento amministrativo e dal nuovo titolo V, parte seconda, della Costituzione, che ha raggiunto il suo apice con la “legislazione della recessione” degli ultimi tre anni, che ha penalizzato in particolar modo i piccoli Comuni e le Province.


Le Città metropolitane
 

La legge prevede l'istituzione di 10 Città metropolitane e la soppressione delle Province omonime, nelle aree metropolitane previste già dalla normativa precedente (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria) che coincidono in partenza con il territorio delle province.

Le Città metropolitane hanno a regime organi di governo di secondo grado composti dai sindaci e consiglieri comunali del territorio. Per la gestione del periodo transitorio, tra la scadenza degli organi delle Province attuali e l'insediamento degli organi delle Città metropolitane, la legge prevede:

  • l'elezione immediata, all'entrata in vigore della legge, di una conferenza statutaria  che deve provvedere alla trasmissione di una proposta di statuto al consiglio metropolitano entro il 30 settembre 2014;
  • la proroga del presidente della provincia e della giunta, a titolo gratuito, o del commissario in carica, per la gestione ordinaria dell'amministrazione provinciale fino al 31 dicembre 2014;
  • l'elezione del consiglio metropolitano entro il 30 settembre 2014, organo che dovrà adottare lo statuto e approvare il bilancio dell'ente.

Le Città metropolitane esercitano le funzioni fondamentali delle Province soppresse ed, inoltre, hanno funzioni ulteriori, tra le quali spicca l'adozione dello "statuto" e di "un piano strategico triennale del territorio metropolitano", che costituiranno gli atti normativi e di indirizzo che disegneranno il futuro delle aree metropolitane e la definizione dei rapporti con i Comuni del territorio.

Per avviare l’istituzione delle Città metropolitane sarà necessario porre in essere una complessa attività di indirizzo e di amministrazione, che presuppone una stretta collaborazione tra i diversi organi ed enti interessati, per elaborare uno statuto e un piano strategico che tengano effettivamente conto delle esigenze di tutto il territorio metropolitano e per evitare conflitti e confusioni nel passaggio dell'amministrazione dalla Provincia a quella della Città metropolitana.


Le Province

In base alla nuova legge, le Province saranno trasformate in enti di secondo livello, governati da organi eletti non dai cittadini, ma dai sindaci e dai consiglieri comunali dei Comuni del territorio.

Le Province consolidano la titolarità di alcune competenze che diventano funzioni fondamentali:
  • pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;
  • pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;
  • programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale;
  • raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;
  • gestione dell'edilizia scolastica;
  • ontrollo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale.
Inoltre le Province, d'intesa con i Comuni, potranno altresì esercitare "funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive" e gestire i "servizi di rilevanza economica" che dovranno essere riorganizzati a quel livello dalla legislazione statale e regionale.
La legge pertanto non prevede più lo svuotamento delle funzioni provinciali, come originariamente era nei propositi del Governo, ma il ridisegno del ruolo delle Province: da enti eletti direttamente dai cittadini che hanno distinte funzioni amministrative, ad enti di secondo livello strettamente legati ai Comuni del territorio.

Le nuove Province esercitano direttamente alcune specifiche funzioni fondamentali di programmazione, coordinamento ed area vasta ma, allo stesso tempo, in sussidiarietà e d'intesa con i Comuni del territorio, possono assumere un ruolo essenziale per la gestione unitaria di importanti funzioni che oggi sono svolte a livello comunale, o gestire servizi che sono impropriamente esercitati da enti o agenzie operanti in ambito provinciale o sub-provinciale, che la legislazione statale e regionale dovrebbe ricondurre esplicitamente in capo alle nuove Province.

Per dare una risposta alle richieste dell'opinione pubblica sui cd. costi della politica, il Governo e il Parlamento hanno deciso che, a regime, i componenti degli organi di governo delle Province non abbiano diritto ad alcuna indennità, in quanto percepiscono già le loro indennità come amministratori comunali.

Le attuali Province arriveranno alla naturale scadenza del mandato, a 5 anni dall'insediamento del consiglio in carica. Anche per la gestione del periodo transitorio per la nascita dei nuovi enti, in deroga alle norme sui commissariamenti della legge di stabilità, è prevista la proroga dei presidenti e giunte, a titolo gratuito, per la gestione ordinaria delle Province e per l'espletamento delle procedure che dovranno portare all'elezione dei nuovi organi di governo di secondo grado. Nel caso in cui i presidenti decidano di dimettersi per la gestione del periodo transitorio sarà nominato un commissario prefettizio. Alle prime elezioni degli organi di governo delle nuove province potranno partecipare anche i consiglieri provinciali uscenti oltre che i sindaci e i consiglieri comunali del territorio.


Comuni, Unioni di Comuni e fusioni

Per i piccoli Comuni la legge prevede norme che ampliano il numero dei consigli comunali (rispetto alle riduzioni avvenute con il DL 138/11), il ripristino della giunta comunale composta da 2 assessori nei Comuni fino a 3000 abitanti, l’ampliamento della giunta fino a 4 assessori nei Comuni da 3000 a 10000 abitanti, la possibilità di un terzo mandato per i sindaci dei Comuni sotto i 5000 abitanti.

Sono inoltre previste disposizioni che disciplinano in modo nuovo le unioni di comuni e le fusioni di comuni, per favorire i processi di associazionismo tra i piccoli Comuni o, in alternativa, la loro fusione in un nuovo Comune di dimensioni maggiori.

Questo percorso dovrà essere strettamente legato a quello che porterà all'istituzione dei nuovi enti di area vasta, le Città metropolitane, e alla trasformazione delle Province in enti di secondo livello anche essi governati dagli amministratori comunali, al fine di trovare l’equilibrio migliore di riordino del governo locale nelle diverse realtà regionali e territoriali.


Conclusioni

Il ddl "Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni" segna senza dubbio una nuova fase di riordino del governo locale, che dovrà coinvolgere i sindaci e i consiglieri comunali, gli amministratori uscenti, i segretari, i dirigenti, i dipendenti degli enti locali, le parti sociali, con l’obiettivo prioritario di permettere a tutte le istituzioni locali di svolgere al meglio le loro importanti funzioni.

Una volta approvata definitivamente la legge, le associazioni degli enti locali dovranno recuperare una capacità di azione comune, per costruire una rappresentanza unitaria dei Comuni, singoli e associati, delle Province e delle Città metropolitane, che consenta di accompagnare adeguatamente l'attuazione della legge e di fornire a tutti i soggetti interessati il supporto necessario alla nascita e alla gestione delle nuove istituzioni locali.

Un'azione unitaria delle autonomie locali è, fin da subito, necessaria per richiedere al Governo una nuova disciplina del patto di stabilità interno che superi le criticità nella gestione dei bilanci degli enti locali derivanti dai tagli previsti dalla legislazione della recessione e consenta di tornare ad investire sui servizi essenziali per le comunità e per lo sviluppo dei territori.

Ma l’azione unitaria delle autonomie è essenziale anche nella prospettiva di una più complessiva riforma della forma di stato repubblicana prevista dalla Costituzione, che preveda il superamento del bicameralismo perfetto e l’istituzione del Senato delle autonomie e che, nella riforma del titolo V, attui in modo coerente i principi dell’articolo 5 della Costituzione: l’unità e l’indivisibilità della Repubblica; il riconoscimento e la promozione “effettiva” delle autonomie locali.



lunedì 17 marzo 2014

Le società pubbliche dagli archivi delle imprese attive


In questi giorni sui giornali si moltiplicano articoli sulle società pubbliche.

Per avere una dimensione del fenomeno a tutti i livelli, ecco una tabella tratta dall'indagine Istat 2011 sulle imprese controllate da istituzioni pubbliche.




martedì 11 febbraio 2014

Una politica economica per la ripresa: rilanciare gli investimenti locali

Il Sole 24 Ore di ieri, lunedì 10 febbraio, a pagina 6, riporta i dati che emergono dall'analisi della spesa pubblica negli anni dal 2008 al 2012, in base agli ultimi dati di Ragioneria generale dello Stato (bilancio centrale) e Corte dei conti (analisi sui bilanci degli enti territoriali).

"I buchi aperti nelle strade battute dalla pioggia di queste settimane, i cantieri infrastrutturali che si interrompono e l'agenda digitale che tarda a passare dalle parole ai fatti. I segnali della crisi degli investimenti pubblici sono tanti, e si incontrano in tanti aspetti della vita quotidiana, I numeri scritti nei bilanci dello Stato ed enti territoriali, però, traducono queste impressioni in dati impressionanti."

"100,4 miliardi in meno di spesa per investimenti e una trentina di miliardi in più di spesa corrente, cioè quella che serve per far funzionare macchina amministrativa e servizi. È questo il conto cumulato presentato dagli anni della crisi di finanza pubblica o, per essere più precisi è l'effetto delle scelte di politica economica che hanno puntellato gli anni dell'emergenza".

I tagli agli investimenti hanno riguardato tutti i comparti: Stato, Regioni ed, in maggior misura, gli Enti locali. La spesa corrente invece è rimasta al palo negli Enti locali ma è cresciuta di oltre 30 miliardi a livello centrale e negli enti funzionali.

I seguenti dati esplicitano ciò che è successo nei diversi comparti.

Totale spesa pubblica
Spesa corrente : da 685 M€ (2008) a 703 M€ (2012) = 17,7 M€ in più (+2,8%)
Investimenti : da 118,9 M€ a 80,9 M€ = 38 M€ in meno (-38%)

Stato
Spesa corrente : da 472,7 M€ (2008) a 489,4 M€ (2012) = 16,7 M€ in più (+3,5%)
Investimenti : da 63,1 M€ a 45,7 M€ = 17,4 M€ in meno (-27,6%)

Regioni

Spesa corrente : da 153 M€ (2008) a 153,7 M€ (2012) = 0,8 M€ in più (+0,5%)
Investimenti : da 63,1 M€ a 45,7 M€ = 17,4 M€ in meno (-27,6%)

Comuni
Spesa corrente : da 50,3 M€ (2008) a 51,7 M€ (2012) = 1,4 M€ in più (+2,7%)

Investimenti : da 23,6 M€ a 12,5 M€ = 11,1 M€ in meno (-47%)

Province
Spesa corrente : da 9 M€ (2008) a 7,8 M€ (2012) = 1,2 M€ in meno (-13,3%)
Investimenti : da 4,6 M€ a 1,6 M€ = 3 M€ in meno (-65%)

In pratica, le pubbliche amministrazioni sembrano aver risposto alla crisi in generale tagliando dov'era più facile, ossia nella spesa per investimenti (in altre parole, nel futuro). L'unico comparto in cui c'è stata anche una riduzione delle spese correnti è stato quello delle Province, il livello di governo che pesa solo per l'1,2% sulla spesa pubblica totale (anno 2012).

Nella sostanza, le manovre emanate dai Governi con la legislazione della crisi non sono riuscite ad incidere minimamente sul groviglio di interessi e sulle resistenze di vario tipo che si annidano tra le agenzie e gli enti intermedi lasciati in vita o creati ex novo dalla legislazione statale e regionale anche dopo la revisione del titolo V, parte II, della Costituzione, "in barba" al principio di sussidiarietà.

Se si vuole invertire la rotta la vera priorità del Governo è una nuova politica economica per uscire dalla logica della cieca austerità. Occorre coniugare una più oculata gestione delle spese correnti a livello centrale e regionale con un forte rilancio degli investimenti pubblici in settori strategici per lo sviluppo del Paese.

In questa prospettiva, fin da subito, nel 2014, è possibile prevedere nel patto di stabilità degli enti locali una "golden rule" sugli investimenti immediatamente cantierabili (viabilità, difesa del suolo, scuole, green economy, innovazione) in modo da dare una risposta concreta alle esigenze di sviluppo dei territori e favorire, allo stesso tempo, una più rapida ripresa dell'economia italiana.

domenica 19 gennaio 2014

Per un sistema elettorale coerente

L'incontro di ieri tra Renzi e Berlusconi nella sede nazionale del PD per discutere di legge elettorale e di riforme costituzionali ha suscitato molte reazioni. Io penso da sempre che in un Paese serio le riforme istituzionali (e la politica estera) dovrebbero essere il terreno naturale di confronto tra tutte le forze politiche di maggioranza e opposizione.

La definizione di un percorso di riforme sufficientemente condiviso consente anche all'attuale maggioranza di governo di avere una prospettiva di durata fino al 2015, per portare avanti il programma per cui si è impegnata in Parlamento, tra cui spicca proprio l'urgenza della riforma elettorale.

Con la sentenza del 4 dicembre 2013 la Corte costituzionale ha dichiarato, infatti, l'incostituzionalità delle norme della legge elettorale nazionale che prevedevano un premio di maggioranza a prescindere dai voti raccolti e delle norme sulle liste bloccate che non consentivano agli elettori di scegliere i loro rappresentanti in Parlamento.

La parte più innovativa della sentenza è che per la prima volta, in modo esplicito, la Corte costituzionale ha ammesso una possibilità di controllo di costituzionalità sulla normativa elettorale, che non è lasciata alla completa disposizione del Parlamento, poiché esistono principi costituzionali che la legislazione elettorale ordinaria deve comunque rispettare.

Cardine dell'ordinamento repubblicano è il principio democratico per il quale "la sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti previsti dalla Costituzione" (articolo 1). Tale principio trova completa attuazione nella Costituzione con la disposizione per la quale "sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. il suo esercizio è dovere civico." (articolo 48).

L'effetto della sentenza è la rinascita in Italia di un sistema simile a quello in vigore fino alle elezioni del 1992: un proporzionale con la possibilità di esprimere una preferenza. La legge elettorale che rimane in vigore consiste in «un sistema proporzionale depurato del premio di maggioranza» ma resta la previsione delle soglie di sbarramento previste dalla legge precedente. Per quanto riguarda la possibilità per l'elettore di esprimere un voto di preferenza, «eventuali apparenti inconvenienti, che comunque non incidono sull'operatività del sistema elettorale possono essere risolti mediante l'impiego degli ordinari criteri d'interpretazione» e «mediante interventi normativi secondari», di natura regolamentare.

Secondo il mio punto di vista, il sistema proporzionale non è un male in sé, soprattutto quando sia corretto con clausole di sbarramento per i partiti poco rappresentativi. Se si analizza la resa dei sistemi elettorali nel nostro Paese è facile costatare che l'Italia è cresciuta molto al di sopra della media dei Paesi europei con un sistema proporzionale, mentre la crescita del Paese si è quasi azzerata quando, dopo il 1992, si è fatta la scelta di introdurre diversi sistemi maggioritari non coerenti tra di loro che si ispiravano a modelli presidenziali spuri (il presidenzialismo de noantri) con l'obiettivo di ridurre in modo sostanziale il peso dei partiti nella vita politica.

La Corte Costituzionale, tuttavia, ha precisato che non è suo compito dettare una normativa elettorale al Parlamento ed, anzi, ha sottolineato che l'incostituzionalità della legge elettorale non comporta la decadenza del Parlamento poiché «le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare» pena il venir meno della continuità dell'ordinamento.

E' compito del Parlamento pertanto verificare la possibilità di individuare una nuova disciplina elettorale. In questa verifica il legislatore ha un margine di discrezionalità molto ampio poiché non esiste «un modello di legge elettorale imposto dalla Carta costituzionale». La cosa essenziale, la Corte ha aggiunto, è che si rispettino i principi costituzionali in materia elettorale e che il sistema elettorale prescelto sia coerente ed abbia una omogeneità di ispirazione.

Anche se non mi piacciono i premi di maggioranza e non condivido l'ispirazione fortemente presidenziale che caratterizza gli attuali sistemi elettorali a livello locale e regionale, ritengo che le proposte avanzate dal nuovo segretario del PD si pongano giustamente l'esigenza di trovare in Parlamento una soluzione rapida sulla legge elettorale e di individuare realisticamente un sistema elettorale nazionale coerente con l'attuale impostazione del sistema politico.

La scelta ipotizzata di utilizzare il modello spagnolo con l'aggiunta di un premio di maggioranza del 20% non affronta però le questioni sollevate dalla Corte costituzionale. Il modello spagnolo infatti si basa su un sistema proporzionale fortemente corretto dalla previsione di circoscrizioni con liste bloccate corte che pone nelle mani dei partiti la scelta degli eletti e favorisce il partito maggiore e i partiti con forte radicamento territoriale. Il ricorso ad un ulteriore premio di maggioranza rischierebbe di dare un premio irragionevole.

Si può invece partire dalle proposte avanzate per individuare, con il concorso di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, una legge elettorale che garantisca la libertà e l'eguaglianza del voto e disegnare un sistema istituzionale e un sistema di legittimazione democratica sufficientemente coerenti con l'obiettivo di rafforzare l'ormai troppo fragile sitema politico italiano.

  • La nuova legge elettorale deve essere pertanto affiancata da una riforma del bicameralismo perfetto previsto dalla Costituzione, attraverso la previsione di una sola Camera politica a cui si dovrebbe affiancare un Senato delle autonomie. 
  • La fiducia al Governo sarebbe data solo dalla Camera. Ma il mantenimento della forma di governo parlamentare dovrebbe portare a prevedere comunque la possibilità per la Camera di scegliere un nuovo Governo, attraverso il sistema della sfiducia costruttiva previsto in Germania e in Spagna.
  • Il sistema elettorale deve poi tenere conto delle indicazioni della Corte sul premio di maggioranza spropositato e sulla garanzia di voto libero e uguale, che presuppone il confonto libero tra forze politiche che devono presentare liste omogenee, senza dar vita a coalizioni spurie ed improvvisate che altererebbero la coerente rappresentanza del voto dei cittadini e renderebbero più fragile la governabilità del Paese, come è successo in questi anni.
  • Nelle attuali condizioni del sistema politico italiano, vista la conformazione dei sistemi elettorali e locali vigenti, ritengo che la soluzione migliore sia la previsione di un sistema elettorale nel quale le diverse forze politiche si confrontano (senza da vita a coalizioni) per verificare il loro grado di rappresentanza attraverso un sistema elettorale proporzionale con clausola di sbarramento al 3-4%. Questa scelta deve essere accompagnata da un premio di maggioranza non irragionevole, che scatti immediatamente quando si superi il 40% dei voti al primo turno e permetta di ottenere il 55% dei seggi in Parlamento, ripartendo il premio sui primi candidati non eletti.
  • Nel caso in cui nessuna forza politica superi il 40% al primo turno si dovrebbe prevedere un ballottaggio nel quale si confrontano le due forze politiche maggiori. La forza politica che prevale al secondo turno avrebbe diritto al premio di maggioranza per ottenere il 55% dei seggi che si distribuirebbe sui parlamentari non eletti al primo turno. Nel caso in cui, entro una settimana dal primo turno, le forze politiche presenti in Parlamento dichiarino pubblicamere di allearsi per concorrere al ballottaggio, la ripartizione del premio avverrebbe su tutte le liste che fanno parte della coalizione dichiarata.
  • Questo sistema elettorale è coerente sia con la previsione di liste di partito circoscrizionali che prevedano il voto di preferenza, sia con la previsione di collegi uninominali secondo il modello degli attuali collegi per le elezioni provinciali. Il voto per collegi, tuttavia, se affiancato dalla previsione della parità di genere da garantire nelle liste, consentirebbe di dare una risposta più adeguata alle esigenze di rappresentanza politica, territoriale e di genere.
  • Per dare coerenza al sistema, infine, la previsione del secondo turno eventuale tra le due forze politiche che hanno ricevuto maggiore consenso dovrebbe essere esteso anche alle elezioni regionali e alle elezioni locali, introducendo anche in questi livelli di governo il sistema della sfiducia costruttiva.

Un sistema così disegnato consentirebbe di garantire una rappresentanza adeguata delle forze politiche che abbiano un consenso sufficiente nel Paese (superiore al 3-4% dei voti) garantendo la libertà e l'uguaglianza del voto, senza feudalizzare il sistema politico a livello territoriale. Allo stesso tempo, riconoscerebbe alle forze maggiori il diritto di governare con maggioranze sicure (senza dover costituire coalizioni spurie che in questi anni hanno dimostrato tutta la loro fragilità) se raggiungono al primo turno il 40% dei voti, o se si aggiudicano il ballottaggio, secondo un modello che è coerente con quanto avviene a livello locale e regionale, ma superando il rischio di un premio di maggioranza spropositato.

La contestuale riforma del Parlamento e del bicameralismo perfetto, con la previsione che la Camera possa sfiduciare il Governo, prevedendo l'alternativa della fiducia costruttiva, renderebbe il sistema coerente con la forma di governo parlamentare e fornirebbe elementi di stabilità e di flessibilità al sistema istituzionale.

La revisione contestuale di tutta la legislazione elettorale consentirebbe di definire un sistema di legittimazione coerente in tutti i livelli di governo in grado di favorire una ricostruzione del sistema politico italiano non sulla base di pulsioni leaderistiche o plebiscitarie, ma intorno a forze politiche che abbiano sufficiente consenso e radicamento territoriale.