giovedì 24 gennaio 2013

Gli enti locali, un risorsa per la ripresa


La ripresa della crescita in Italia dipende in grande parte dalla capacità di ricostruire un circuito di fiducia tra la società e le istituzioni.

Con il protrarsi della recessione, le esigenze di revisione della spesa pubblica sono ancora più evidenti. Secondo la maggior parte delle stime economiche, l’Italia ritornerà al PIL del 2007 solo nel 2018-19 e dovrà fare fronte agli impegni delle amministrazioni pubbliche con meno risorse. Rendere tutte le istituzioni più snelle e funzionali in vista della ripresa dovrebbe pertanto essere un obiettivo condiviso.

Nella legislatura che si chiude, si è perseguito un disegno di svuotamento della capacità di spesa e di azione degli enti locali, che sono stati ritenuti, erroneamente, come sedi di sperpero. Ma, con la spending review, è stato abbozzato un disegno di riordino delle funzioni e delle dimensioni degli enti locali (unioni di comuni, riordino delle istituzioni provinciali, istituzione delle città metropolitane) dalla cui attuazione può derivare un ridisegno complessivo dell’amministrazione pubblica (anche statale e regionale) nel territorio.

Il futuro Governo dovrà completare il processo di riordino avviato. Ma dovrà soprattutto rivedere le norme più “stupide” del patto di stabilità interno, per consentire agli enti territoriali di rilanciare gli investimenti già dal prossimo anno.  I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono infatti una risorsa essenziale per il tessuto produttivo e la ripresa della nostra economia.

Nel programma del centrosinistra sono chiaramente elencate quali siano le priorità che si dovranno affrontare nella prossima legislatura:
  • ricostruire l'Italia guidando la sua economia fuori dalla crisi;
  • ridare autorevolezza alle istituzioni e alla politica ripartendo dalla Costituzione;
  • rilanciare l’integrazione politica dell’Europa.
Per la loro storia personale e politica, Bersani e molti candidati del centrosinistra in Parlamento hanno nel loro DNA la capacità di relazionarsi lealmente con le autonomie territoriali e con le parti sociali e la consapevolezza che siamo tutti sulla stessa barca.

Ma un vero cambiamento potrà avvenire se l'Italia saprà riposizionarsi in modo coerente in Europa a partire dalla sua storia e collocazione gografica e, nel rispetto degli accordi sanciti, contribuirà ad avviare una politica economica a livello europeo che rilanci gli investimenti in modo da compensare i vincoli sul pareggio di bilancio che oggi limitano l’azione degli Stati.


martedì 8 gennaio 2013

Povince 1 2 X : la storia infinita



Premessa
La legislatura che sta volgendo a termine ha riaperto in profondità il dibattito sulle Province, che per 150 anni hanno rappresentato il livello di governo di area vasta su cui si è costruito il rapporto tra l’amministrazione pubblica (statale) e il territorio.
Con l’acuirsi della recessione è ripreso in modo veemente il dibattito sull’abolizione delle Province, sollecitato da molte forze politiche che avevano inserito questa proposta nei loro programmi. L’Italia, infatti, deve fare fronte agli impegni delle amministrazioni pubbliche con meno risorse a disposizione, poiché secondo le stime economiche più accreditate, ritornerà al PIL del 2007 solo nel 2018-19.
Questa situazione finanziaria ha spinto le istituzioni europee, come risulta dalla lettera della BCE al Governo italiano del 5 agosto 2011, a richiedere all’Italia di ridurre la spesa pubblica. Tra gli interventi individuati come prioritari c’era l’abolizione o l’accorpamento delle Province.
Un livello di governo intermedio tra i Comuni e le Regioni è presente in tutti i grandi paesi europei ma in Italia, a questo livello, ci sono troppe sovrapposizioni di funzioni. Da un lato, ci sono le Province, come enti autonomi a diretta legittimazione democratica previsti dalla Costituzione. Dall’altro, gli uffici dell’amministrazione statale periferica e una molteplicità di strutture, enti, società  create dalla legislazione regionale. Opinione comune a molti pertanto è che occorra definire un governo più funzionale delle aree vaste, per rispondere in modo più appropriato alle esigenze dei cittadini e dei territori.
L’intervento della BCE è sembrato a molti osservatori irrituale, poiché fuoriusciva dagli ambiti di intervento monetario e finanziario tipici di questa istituzione europea ed appariva, anzi, in contrasto con i principi della Carta europea delle autonomie locali.
Nonostante ciò, il Governo Berlusconi ha confermato il suo impegno all’abolizione delle Province,  con l’approvazione in via preliminare di un disegno di legge costituzionale di soppressione degli enti intermedi che avrebbe portato all’abolizione delle province dalla Costituzione e con la lettera del Governo Berlusconi al Presidente della commissione europea e al Presidente del consiglio europeo del 26 ottobre 2011 in cui si è impegnato ad adottare “una normativa transitoria per il trasferimento del relativo personale nei ruoli delle regioni e dei comuni”.
Una volta caduto il Governo Berlusconi, questi impegni internazionali sono stati ereditati dal Governo Monti, che ha cercato di attuarli con interventi d’urgenza che - a mio avviso - dovrebbero essere esclusi quando si cercano di riformare gli assetti istituzionali e che alla fine sono risultati approssimativi e contraddittori.

1. Svuotamento e abolizione delle Province
Il primo intervento è stato guidato dalle dichiarazioni programmatiche di Monti al Senato del 17 novembre 2011 nelle quali egli ha affermato chiaramente: “Il riordino delle competenze delle Province può essere disposto con legge ordinaria. La prevista specifica modifica della Costituzione potrà completare il processo, consentendone la completa eliminazione, così come prevedono gli impegni presi con l’Europa.”
Questa scelta programmatica è stata tradotta nelle disposizioni dell’art. 23, commi 14 – 20 bis, del decreto legge cd. Salva Italia, che hanno l’obiettivo di svuotare le Province delle loro funzioni per trasferirle a Regioni e Comuni e di trasformarle in enti di secondo grado, nella prospettiva della completa abolizione delle Province dalla Costituzione.
Questa scelta è in netto contrasto con i principi costituzionali sulle autonomie locali (articoli 1 e 5) che impongono il carattere democratico delle istituzioni costitutive della Repubblica e con le disposizioni costituzionali sulle Province (articoli 114, 117, 118, 119) che garantiscono ad esse funzioni fondamentali e funzioni proprie, nonché l’autonomia nella gestione delle risorse necessarie per il loro svolgimento. Non a caso, contro il provvedimento del Governo, molte Regioni hanno fatto ricorsi alla Corte costituzionale, sui quali la Corte non si è ancora pronunciata, poiché l’udienza del 6 novembre 2012 è stata rinviata.
Essa presupporrebbe un più profondo disegno di riordino delle istituzioni locali, a livello costituzionale, per il quale le Province diventano enti senza funzioni proprie che svolgono in sussidiarietà le funzioni che i Comuni non possono svolgere autonomamente. Per essere coerente, questa scelta dovrebbe portare al completo superamento delle attuali forme di svolgimento associato delle funzioni comunali e l’aumento del numero delle circoscrizioni provinciali secondo il modello tedesco, in cui il complessivo assetto delle autonomie locali è rimesso ai land.
Ma il provvedimento è stato contrastato anche nel merito, poiché - durante la stessa conversione del decreto in  Parlamento - è stato sottolineato come da esso sarebbero derivati non risparmi, ma ulteriori aggravi per la spesa pubblica. Nel confronto politico ed istituzionale è emersa perciò una proposta più coerente di riordino istituzionale che, pur andando nella direzione indicata dalla BCE, sarebbe più coerente con la Costituzione repubblicana e potrebbe comportare maggiori risparmi di spesa pubblica.

2. Riordino delle Province
Nel 2012, superata la fase di emergenza che ha portato al decreto legge 201/11, il Governo Monti ha cominciato a definire una strategia di intervento di più lungo respiro per avviare una riduzione strutturale della spesa pubblica in Italia con l’avvio della “Spending Review”.
Nell’ambito del dibattito sulla razionalizzazione della spesa pubblica, quando ha avviato la discussione sulla spending review, il Governo aveva davanti due scenari:
  • abolire le Province lungo la strada indicata dal Decreto Salva Italia e articolare la PA a livello regionale passando da 100 a 20 uffici territoriali del governo;
  • riordinare le Province attraverso opportuni accorpamenti riducendo il numero degli uffici periferici del governo da 100 a (circa) 70.
Con il decreto legge sulla “spending review” si è scelta la seconda soluzione, più rispettosa dell’assetto costituzionale e della storia del Paese, avviando un processo di riordino delle istituzioni territoriali che passa per:
  • l’individuazione delle loro funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, in attuazione della riforma costituzionale del 2001;
  • il riordino delle Province più piccole (articolo 17), l’istituzione delle Città metropolitane (articolo 18) e l’obbligatorietà della gestione associata delle funzioni per i piccoli comuni (articolo 19);
  • il contestuale riordino dell’amministrazione statale periferica;
  • il superamento degli enti strumentali di non diretta derivazione democratica.
Il disegno perseguito da queste disposizioni non è più quello dell’abolizione delle Province come enti costitutivi della Repubblica, ma il ridisegno funzionale e territoriale delle Province, per fare in modo che esse abbiano chiare funzioni di governo di area vasta (che non si sovrappongono a quelle di altri livelli di governo) e dimensioni adeguate per svolgerle (attraverso il contenimento dei costi procapite per l’erogazione dei servizi, come indicato già nella ricerca della Bocconi del dicembre 2011).
L’obiettivo complessivo del decreto è “la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” attraverso un profondo riordino istituzionale, affinché l’Italia, alla fine della recessione, possa avere un amministrazione più efficiente e leggera che sia in grado mantenere comunque un adeguato livello di servizi essenziali e di rilanciare gli investimenti per far crescere il Paese.
Perché questo obiettivo sia raggiunto, tuttavia, occorre coinvolgere tutti i diversi livelli istituzionali, andando a toccare gli sprechi e le rendite nascoste, a partire dai tanti enti, società e strutture di secondo grado, che svolgono funzioni pubbliche senza trasparenza e senza una diretta legittimazione democratica.
Purtroppo anche questo disegno di riforma è stato perseguito con la decretazione d’urgenza, in modo confuso e  contraddittorio.
Da un lato si è previsto il riordino delle Province che doveva avvenire a partire dalle proposte avanzate dai territori. Dall’altro si sono decisi tagli lineari ai bilanci delle Province (articolo 16) che ledono la loro autonomia finanziaria secondo una tendenza di centralizzazione delle politiche pubbliche e, soprattutto, non sono state superate e abrogate le disposizioni sulle Province del decreto “Salva Italia”, che seguono un altro disegno istituzionale.
Al contrario, il Governo ha presentato alla Camera dei Deputati il ddl per le elezioni di secondo grado degli organi di governo delle Province in attuazione delle disposizioni del decreto “salva Italia”, provvedimento il cui iter è stato bloccato dalla Camera, perché in contraddizione con il processo di riordino avviato con il decreto sulla “spending review”.

X. La mancata riforma
Le contraddizioni evidenziate nelle disposizioni sulle Province hanno portato ad una complicazione del percorso di attuazione di questa riforma.
Il Governo, ha avviato l’attuazione della spending review,  con la delibera del 20 luglio 2012, che ha definito i requisiti minimi per procedere all’accorpamento delle Province e al ridisegno delle circoscrizioni provinciali e metropolitane (350.000 abitanti e 2.500 chilometri quadrati).
Sulla base di queste premesse, i Consigli regionali delle autonomie locali e la maggior parte delle Regioni hanno avanzato al Governo proposte di riordino delle circoscrizioni provinciali e metropolitane, in attuazione degli articolo 17 e 18 del decreto legge 95/12, in alcuni casi rispettose dei criteri stabiliti dal Governo, in alcuni casi in deroga. Solo le Regioni Calabria e Lazio non hanno inviato al Governo alcuna proposta di riordino.
Il Governo, sulla base delle proposte intervenute, per concludere il processo di riordino delle circoscrizioni ha emanato il decreto legge 188/12, con il quale ha provveduto a delimitare le circoscrizioni delle province e delle città metropolitane, riducendo il numero delle province nelle regioni a statuto ordinario da 86 a 51. Gli accorpamenti sono stati definiti dal Governo derogando in parte i criteri stabiliti nella delibera del 20 luglio. Ma soprattutto, sono state previste nel decreto disposizioni che forzavano i tempi del passaggio dalle vecchie province ai nuovi enti, dal punto di vista degli organi di governo.
Di fronte alle difficoltà registrate nella conversione del decreto, anche per il ripetuto utilizzo della decretazione d’urgenza e le contraddizioni del provvedimento, nel Parlamento si è formato un fronte trasversale contrario al completamento del processo di riordino circoscrizioni provinciali che ha portato la Commissione affari costituzionali del Senato a ritenere impossibile l’approvazione del provvedimento in tempo utile per la conversione in legge.
A questo punto, il Parlamento ha preso atto della mancata conclusione del processo di riforma delle Province e, nella legge di stabilità di fine anno, con una soluzione tampone, ha rinviato di un anno sia il processo di attuazione dell’art. 23 del dl 201/11, sia il processo di attuazione dell’art. 17 del dl 95/12, prevedendo il commissariamento delle province che dovrebbero andare al voto e lasciando al nuovo Governo e al nuovo Parlamento la decisione ultima sulla strada da intraprendere sul futuro delle Province.

Conclusioni
La prossima legislatura ha perciò tra i primi impegni quello del completamento della riforma delle Province solo abbozzata ma non portata a compimento.
Formalmente sono aperte 2 ipotesi:
  1. lo svuotamento delle funzioni delle Province in attesa di una loro complessiva abolizione dalla Costituzione, secondo quanto stabilito dai commi 14, 20bis, dell’art. 23 del decreto “Salva Italia”;
  2. il riordino delle Province e  l’istituzione delle Città metropolitane in attuazione degli articoli 17 e 18 del decreto sulla “spending review”.
Al di là degli aspetti di natura giuridica ed istituzionale, tuttavia, le forze politiche, nelle loro proposte programmatiche, dovrebbero mirare a dare innanzitutto una prospettiva di crescita all’economia italiana per uscire quanto prima dalla recessione.
Lo stravolgimento degli assetti istituzionali non risponde a questa primaria esigenza. Occorre tener presente che già su queste ipotesi di riforma si dovrà pronunciare la Corte costituzionale, sia relativamente ai ricorsi sull’art. 23 del decreto “Salva Italia”, sia relativamente ai ricorsi sull’art. 17 del decreto sulla “spending review”, sia sugli eventuali ricorsi che potrebbero arrivare sui tagli lineari ai bilanci delle Province operati nelle diverse manovre e, da ultimo, nella legge di stabilità.
Occorre, al contrario garantire una prospettiva coerente e stabile di sviluppo delle istituzioni locali che è la premessa necessaria per una ripresa degli investimenti nei territori che facilitino la ripresa dell’economia italiana.
A mio avviso la via maestra per la riforma delle istituzioni provinciali deve partire dal ruolo che esse hanno avuto nella storia unitaria del Paese e deve passare per una chiara individuazione delle funzioni di area vasta da attribuire alle nuove Province (con organi, risorse e dimensioni adeguate) o alle Città metropolitane, che in attuazione dell’art. 114 della Costituzione, devono diventare gli enti di area vasta per il governo integrato delle aree metropolitane nel quale fondere la capacità e le competenze dei Comuni capoluogo e delle Province.
L’attuazione dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione nel dimensionamento del governo di area vasta può essere il motore del riordino di tutta l’amministrazione italiana nel quadro della forma di stato autonomista e regionale oggi vigente, poiché può incentivare i processi virtuosi di associazionismo comunale, portare ad una riforma dell’amministrazione statale periferica e ad un profondo riordino delle strutture e degli enti che esercitano funzioni che potrebbero essere allocate tranquillamente in ambito provinciale o metropolitano.
La Riforma delle Province  può avvenire per via ordinaria, attraverso una legge delega che individui un percorso di revisione delle circoscrizioni provinciali e metropolitane con tempi certi, a partire da un accordo tra tutti gli attori interessati da raggiungere in Conferenza unificata.
Questa riforma può rappresentare il momento iniziale di un percorso più complessivo di riforme costituzionali che precisi la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, ridisegni la mappa delle circoscrizioni regionali che deriva dall’elenco dell’art. 131 della Costituzione (superando le evidenti incongruenze) e porti finalmente alla riforma del sistema parlamentare.