lunedì 5 dicembre 2016

La Costituzione è come un giardino



Nel referendum del 4 dicembre 2016, che ha visto un'affluenza molto alta, superiore al 65% degli aventi diritto, il popolo italiano ha con chiarezza detto NO, con una maggioranza superiore al 59% dei voti, alla riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi e approvata dal Parlamento in questa legislatura.

Il voto al referendum si è senza dubbio caricato di significati politici ulteriori, ma ha consentito ai cittadini di discutere a fondo sul valore e sull'impianto della Costituzione come elemento unificante della democrazia italiana e sugli aspetti di merito delle riforme proposte.

Alcune modifiche sono da anni ritenute da tutte le forze politiche necessarie anche se non si riesce a trovare l'accordo unitario su una proposta di riforma in Parlamento. Tuttavia nel voto di ieri, come nel referendum del 2006, gli italiani si sono rifiutati di approvare una riforma che rivedeva complessivamente la seconda parte della Costituzione.

La proposta di riforma del 2005 modificava non solo il sistema parlamentare ma anche la forma di governo, attraverso l'introduzione del Premierato e l'ulteriore devoluzione dei poteri alle Regioni. La riforma era stata inoltre approvata in Parlamento solo dalla maggioranza che sosteneva il Governo Berlusconi.

La proposta di riforma del 2016 superava il bicameralismo paritario con l'istituzione del Senato delle istituzioni territoriali e riportava allo Stato alcune competenze legislative che la riforma del 2001 aveva assegnato alle Regioni. La riforma è stata approvata dalla maggioranza di governo che sosteneva il Governo Renzi con l'aggiunta di una piccola parte dell'opposizione di centrodestra, ma in un Parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale. 

In entrambi i casi, i cittadini si sono rifiutati di dare il loro consenso a modifiche importanti che toccavano molti articoli della seconda parte della Costituzione, attraverso un referendum complessivo in cui non si potevano distinguere i diversi aspetti. 

Il popolo italiano, se ne dovrebbe dedurre, non ama stravolgimenti della Costituzione repubblicana e vorrebbe innanzitutto che la Costituzione sia attuata nei suoi principi e valori.

I partiti e le istituzioni della Repubblica, se vogliono davvero rispettare questa volontà popolare, devono innanzitutto operare per la piena attuazione della Costituzione vigente ed evitare di prendere decisioni in base ad ipotesi di riforme costituzionali tutte da verificare: vale per il Governo e il Parlamento, ma anche per i Consigli regionali, il potere giudiziario, la Corte costituzionale.

Ciò non significa che non sia possibile riproporre modifiche costituzionali sulle questioni su cui, da anni, tutte le forze politiche riconoscono la necessità di intervenire.

Ma, a mio modesto avviso, è preferibile che questo avvenga attraverso proposte di riforma ampiamente condivise in Parlamento, che affrontino e risolvano questioni puntuali e facilmente comprensibili. 

La Costituzione, infatti, è come un giardino. Non può essere abbandonata. Bisogna prendersene cura, con un'azione costante di attuazione e manutenzione, perché possa dare al meglio i suoi frutti e i suoi fiori.

lunedì 31 ottobre 2016

Il riordino dei raccordi tra lo Stato e le autonomie territoriali dopo il referendum


Giovedì 27 ottobre si è svolto al Senato della Repubblica un incontro su "Il Parlamento e il sistema delle conferenze", per la presentazione del Documento conclusivo dell'indagine conoscitiva della Commissione bicamerale per le questioni regionali sulle "forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali".

Il documento conclusivo intende fornire un contributo al dibattito sul rinnovamento del sistema dei apporti tra Stato ed autonomie territoriali, in un momento istituzionale particolarmente delicato, poiché è ormai prossimo lo svolgimento del referendum confermativo della riforma costituzionale approvata dalle Camere.

Ci si trova così di fronte a due possibili scenari, molto diversi: il primo, a Costituzione vigente, che si prospetta in caso di esito non confermativo del referendum; il secondo, a Costituzione modificata, che seguirebbe all’esito confermativo. In ogni caso, il documento evidenzia "l’opportunità di ripensare l’attuale assetto dei rapporti tra Stato e Regioni, sia nell’ambito delle procedure parlamentari che all’interno del ‘sistema delle conferenze’.
  • A Costituzione vigente, appare ineludibile l’esigenza di portare a compimento la riforma del 2001, adeguando finalmente ad essa le procedure parlamentari e riordinando il ‘sistema delle conferenze’, tuttora regolato da una disciplina precedente alla riforma del 2001.
  • A Costituzione modificata, la nuova configurazione del Senato come Camera di rappresentanza delle istituzioni territoriali apre nuove prospettive suscettibili di essere sviluppate in diverse direzioni.
Come dimostra l’esperienza della riforma costituzionale del 2001, la riuscita di una riforma dipende soprattutto dalla sua successiva attuazione.
...

Fra le diverse possibili soluzioni attuative della nuova riforma costituzionale, la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha cercato di individuare quelle che meglio rispondono a quell’obiettivo di semplificazione del sistema istituzionale che la riforma ha l’ambizione di realizzare, soluzioni che si fondano sulla valorizzazione del Senato quale Camera politica di rappresentanza delle autonomie territoriali e sul conseguente riassetto del ‘sistema delle conferenze’."

martedì 21 giugno 2016

Buon lavoro ai Sindaci eletti


Le elezioni amministrative che si sono svolte in oltre 1300 Comuni - con oltre 13 milioni di elettori coinvolti e con importanti città al voto, come Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Cagliari, Trieste - sono il primo e più immediato momento importante di verifica della capacità delle istituzioni di prossimità di rispondere ai bisogni dei cittadini.
I Comuni infatti sono le istituzioni di prossimità più vicine alle persone. Auguro per questo un buon lavoro ai Sindaci eletti, perché hanno oggi sulle loro spalle la responsabilità di tutto il governo locale, sia quello del loro Comune, sia dell’area vasta, e devono pertanto trovare le soluzioni più funzionali per gestire i servizi ai cittadini e ai territori, superando l'approccio “ente per ente” e dando vita a processi di collaborazione più stretta e di “amministrazione condivisa”.
Nel complesso dei Comuni al voto l’affluenza al primo turno del 5 giugno è stata del 62.13 per cento, oltre 5 punti in meno alla tornata elettorale precedente, ma oltre 10 punti in più rispetto al dato delle ultime 8 elezioni regionali. Al ballottaggio del 19 giugno l’affluenza alle urne è stata comunque superiore al 50% degli elettori. Un discorso a parte merita il dato dell’affluenza di Roma. Nella capitale si è riscontrata al primo turno un’affluenza del 57%, superiore di 5 punti rispetto alle elezioni amministrative precedenti, e comunque superiore al 50% anche nel ballottaggio.
Il calo della partecipazione al voto riflette le difficoltà di tutto il sistema politico di rispondere alla sofferenza che nasce dalla lunga recessione dell’economia italiana, ma si deve legare anche all’incapacità dei partiti di costruire un radicamento e una prospettiva politica duratura, andando oltre la ormai lunga transizione che stanno vivendo.
Nella maggioranza dei Comuni sotto i 15.000 abitanti si registra una tenuta del consenso delle liste di centrosinistra, anche se il dato deve essere letto con attenzione perché nella maggior parte dei casi il confronto si basa su liste civiche.
Per i Comuni superiori a 15.000 abitanti, in cui è previsto il ballottaggio, è possibile una lettura più politica dei risultati elettorali, che ovviamente deve innanzitutto tener conto del fatto che 2 grandi città -  il Comune di Roma, capitale della Repubblica, e il Comune di Torino – sono guidate da giovani sindache del M5S.
Nei 25 Comuni capoluogo siamo di fronte ad uno scenario diverso rispetto alla situazione precedente che vedeva 21 Comuni guidati dal centrosinistra e 4 Comuni guidati dal centrodestra. Oggi la situazione è più frammentata: ci sono 8 comuni guidati dal centrosinistra, 7 dal centrodestra, 3 dal M5S, 3 dalla destra, 1 dal centro e 3 da liste civiche di sinistra.
Questa tendenza si conferma anche negli altri 125 Comuni con più di 15.000 abitanti, 70 dei quali erano governati in precedenza da coalizioni di centrosinistra mentre non vi erano amministrazioni guidate dal M5S. Oggi la situazione è più diversificata, perché solo 42 Comuni sono guidati dal centrosinistra, 29 da liste civiche, 20 dal centrodestra e 17 dal MSS.
Anche nelle elezioni amministrative, pertanto, al netto della presenza delle liste civiche, si ripropone il quadro politico di tipo tripolare che caratterizza il livello nazionale. E’ questa una evidente novità, almeno da quando si è passati all’elezione diretta dei Sindaci, poiché si passa da uno schema bipolare ad uno schema tripolare nel confronto politico a livello locale.
Di fronte a quest’evoluzione profonda del sistema politico è auspicabile che la discussione sulla riforma costituzionale già avviata non si limiti allo scontro a priori tra i tifosi del Sì e i tifosi del No. Il referendum di ottobre sarà un’occasione importante per condividere la conoscenza dei valori e delle disposizioni costituzionali e, allo stesso tempo, per riflettere a fondo sul legame stretto che intercorre tra il sistema dei partiti, i sistemi elettorali, la “forma di governo” e la “forma di stato”, sulla base delle specifiche discipline previste nelle leggi ordinarie e nella Costituzione.