mercoledì 24 dicembre 2008

Un nuovo mondo


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Dopo qualche mese di silenzio voglio riprendere il filo di questo mio colloquio in rete attraverso questo mio diario pubblico.

Il mondo occidentale è oggi entrato in una recessione profonda che nasce dalla crisi dei fondamenti sui quali è stata costruita la politica economica americana e mondiale degli ultimi 30 anni:
  1. la convinzione che una diminuzione delle tasse avrebbe portato ad una crescita dell'economia, poiché il mercato poteva moltiplicare la capacità di creare ricchezza attaverso il ricorso autonomo al sistema finanziario (la supply-side economics di Reagan e della scuola di Chicago ) e la conseguente riduzione dell'intervento dello Stato nell'economia e nel sociale;
  2. la volontà di spostare lo sforzo dello Stato nella difesa del ruolo degli Stati Uniti nel mondo, in una visione unilaterale che univa la difesa degli interessi economici nazionali con una pressione militare e un intervento diretto contro tutti quegli Stati che si opponevano al dominio americano.
Il centro dello sviluppo economico mondiale, dopo aver attraversato l'Oceano Atlantico (dall'Europa all'America) sembra volere attraversare anche l'Oceano Pacifico (la Cina, le tigri asiatiche, l'India...) in una dinamica che, dopo diversi decenni, vede in crisi il ruolo dominante degli Stati Uniti.

A questa crisi storica gli USA hanno cercato di dare una risposta innovativa attraverso l'elezione di Barack Obama, una scelta rivolta non solo all'interno del loro paese, ma al mondo intero. E' una risposta che parte sempre da Chicago e che si fonda sul rilancio dei valori libertari e comunitari tipici della società americana, sulla riconversione ecologica dell'economia, su un rinnovato ruolo dello Stato nell'economia e nella società, su una visione multilaterale della politica estera americana e, soprattutto, su un meccanismo inedito di partecipazione popolare che diventa vincente rispetto all'establishment tradizionale (azionariato diffuso contro grandi corporations, utilizzo preferenziale della rete invece del broadcast informativo tradizionale, main street verso wall street).

Nella crisi mondiale, l'Europa reagisce con dignità, attraverso lo sforzo della presidenza francese di coordinare le politiche economiche nazionali in funzione anticiclica. Si rimane comunque nell'orizzonte dell'Europa degli Stati, mentre non decolla una vera politica economica comune, che dovrebbe essere il vero obiettivo della zona Euro nella discussione in atto sul bilancio europeo. La mancata ratifica del trattato di Lisbona da parte dell'Irlanda, inoltre, ritarderà ulteriormente, oltre la data delle elezioni europee del 2009, la possibilità di una governance e di un'azione unitaria spedita dell'Unione europea.

In questo quadro, l'Italia ha ancora gli occhi rivolti all'indietro. Il Governo Berlusconi ha predisposto a luglio una manovra finanziaria di tagli indiscriminati alla domanda aggregata e agli investimenti che è esattamente il contrario di quello di cui si aveva bisogno. I pochi soldi a disposizione sono stati investiti in operazioni senza senso, come l'abbattimento dell'ICI sulle case dei ricchi e il salvataggio di Alitalia. A tre mesi di distanza, nonostante che ormai tutti siano convinti della necessità di ripensare il patto di stabilità europeo per costruire una politica economica unitaria che favorisca la crescita, si concepisce una manovra anticrisi debole, senza funzione anticiclica, che non corregge i grandi limiti della la manovra finanziaria di luglio.

In conclusione, un "nuovo mondo" sta nascendo, ma le classi dirigenti del nostro Paese appaiono invecchiate e non in grado di affrontare le sfide che esso ci pone.

L'era Berlusconi volge probabilmente al termine, ma non c'è ancora una forza di opposizione in grado di offrire all'Italia l'audacia della speranza, per superare le derive corporative e conservative, per mettere insieme le tante energie sopite del nostro Paese, per costruire una proposta di governo per permetta all'Italia di affrontare la crisi a testa alta e di rilanciare il suo ruolo in Europa e nel mondo.

Io spero ancora che il Partito democratico possa svolgere questo ruolo.
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mercoledì 30 luglio 2008

Forza Europa

Sul sito della "La Fabbrica.eu" è stata lanciata dall'on. Sandro Gozi una interessante discussione sul futuro dell'Europa i cui risultati sono disponibili in rete.

Ecco il mio contributo.

Credo che l'Europa debba riprendere il cammino indicato da Spinelli verso una piena unificazione politica che permetta a tutti i paesi europei di affrontare insieme le principali questioni poste dalla globalizzazione, in una prospettiva federale e democratica che consenta un intervento unitario della UE sulle principali scelte di tipo strategico (tra cui la politica estera e la politca economica) e la capacità di coinvolgere in ottica sussidiaria gli Stati nazionali e i livelli di governo territoriale.

Relativamente alla ratifica del trattato di Lisbona il mio pensiero è contenuto nel blog nel post "Il coraggio di investire sul futuro": Auspicherei la ratifica del trattato da parte di 25/26 Stati membri e lo svolgimento di un referendum europeo sul trattato, da svolgersi contestualmente alle prossime elezioni europee del 2009, per consentire finalmente un dibattito unitario sul futuro dell'Europa in tutti i paesi membri.

In ogni caso occorre avviare un processo di integrazione dell'Europa dal basso, attraverso il coinvolgimento dell'opinione pubblica, la realizzazione di una "rete civica europea", la costruzione di partiti europei, per consentire un confronto unitario sulle principali scelte da fare insieme.

Relativamente all'approfondimento del processo di integrazione ritengo che la strada migliore sia quella delle cooperazioni rafforzate. Relativamente all'allargamento ritengo essenziale innanzitutto completare il percorso di inclusione dei paesi balcanici e, parallelamente, approfondire il processo aperto con l'Unione per il Mediterraneo lanciata a Parigi lo scorso 13 luglio 2008.

domenica 13 luglio 2008

L'opposizione di cui ha bisogno il Paese

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All'avvio del Governo Berlusconi avevo auspicato un nuovo rapporto tra maggioranza e opposizione che consentissse di distinguere tra le materie su cui è necessario un percorso condiviso in Parlamento e le materie sulle quali era naturale che si mantenesse un confronto serrato e anche duro.

Da un lato, la Costituzione, le riforme istituzionali, la politica estera e la posizione dell'Italia nell'Unione europea sono campi sui quali si dovrebbe sviluppare un confronto costante tra maggioranza e opposizione, per trovare alcuni fondamentali punti di accordo e un minimo comun denominatore a tutela dell'interesse generale e dell'interesse nazionale.

Dall'altro, la politica economica e le scelte di governo operate dalla maggioranza su vari fronti (sicurezza, giustrizia, sistema informativo ....) devono essere contrastate duramente dall'opposizione che deve criticare le scelte ritenute non valide, proporre soluzioni alternative, definire una sua agenda di priorità sulla quale ricercare in modo chiaro il consenso popolare.

In questa settimana parlamentare, la presentazione della manovra economica per il 2009 da parte del Governo, lo scontro sul lodo Alfano e sul Decreto sicurezza hanno messo in chiaro che il confronto fra maggioranza e opposizione non può significare in alcun modo il venir meno di un'opposizione politica chiara sulle principali scelte operate dal Governo, non solo nelle posizioni parlamentari, ma in tutto il paese, come è stato evidenziato con la raccolta di firme avviata dal Partito Democratico e l'annuncio della manifestazione del 25 ottobre.

E' evidente che l'opposizione non può limitarsi a contestare e contrastare le scelte politiche della maggioranza, ma deve costruire un'agenda alternativa, che si fondi su proposte in grado di rispondere alle esigenze che i cittadini sentono come prioritarie o di affrontare quei nodi essenziali che servono al rilancio del Paese. Su queste proposte si può definire un profilo programmatico concreto del PD, sul quale trovare un radicamento sociale e territoriale non di tipo ideologico, e allo stesso tempo costruire una strategia di alleanze in grado di sostenere una proposta di governo vincente per le prossime sfide elettorali.

E' una sfida faticosa ma non impossibile. Soprattutto se il PD evita le scorciatoie delle scelte piovute dall'alto e cerca di dare una risposta stabile alle domande di partecipazione democratica che provengono da quanti hanno partecipato alle elezioni primarie e da quanti auspicano una vita del partito fondata sul pluralismo e sulla democrazia, come anticorpi essenziali contro le derive plebiscitarie della "mediocrazia" che è ormai dominante in Italia.

venerdì 11 luglio 2008

Le ragioni del no al decreto sicurezza

In un intervento precedente ho già affermato che il Partito Democratico deve mettere al centro della sua riflessione il bisogno di sicurezza dei cittadini, nelle diverse dimensioni in cui si manifesta, soprattutto per rispondere alle domande delle fasce più deboli della popolazione, ma che allo stesso tempo deve evitare di copiare le ricette della destra e uscire dalla cultura dell'emergenza che sta caratterizzando le scelte del legislatore italiano in materia penale.

Nell'odierna discussione parlamentare sul "Decreto sicurezza" il Governo ha presentato alcuni emendamenti per superare i problemi della norma "blocca processi", a seguito del via libera dato ieri dalla Camera dei deputati al "Lodo Alfano".

Al di là della norma incriminata, il Decreto legge sulla sicurezza, in considerazione delle diverse materie affrontate e delle diverse modifiche approvate in Parlamento, si rivela come un provvedimento bandiera che cerca di rassicurare le paure dei cittadini, ma non risolve i veri problemi della giustizia ed, anzi, introduce diverse complicazioni, come ha chiarito il CSM nella sua deliberazione del 1° luglio scorso.

Con i suoi presupposti di necessità e urgenza (sic!) il Decreto legge si muove nel già fragile ordinamento penale italiano come un elefante tra la cristalleria.

A conferma di questa affermazione basta scorrere l'indice delle disposizioni approvate:
  • Art. 1 (Modifiche al codice penale)
  • Art. 2 (Modifiche al codice di procedura penale)
  • Art. 2-bis (Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271)
  • Art. 2-ter (Sospensione dei processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002).
  • Art. 3 (Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274)
  • Art. 4 (Modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni)
  • Art. 5 (Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).
  • Art. 6 (Modifica del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale)
  • Art. 6-bis (Modifica all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689)
  • Art. 7 (Collaborazione della polizia municipale e provinciale nell’ambito dei piani coordinati di controllo del territorio)
  • Art. 7-bis (Concorso delle Forze armate nel controllo del territorio)
  • Art. 8 (Accesso della polizia municipale al Centro elaborazione dati del Ministero dell’interno)
  • Art. 8-bis (Accesso degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle Capitanerie di porto al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno)
  • Art. 9 (Centri di identificazione ed espulsione)
  • Art. 10 (Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575)
  • Art. 10-bis (Modifiche al decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356)
  • Art. 11 (Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152)
  • Art. 11-bis (Modifiche alla legge 3 agosto 1988, n. 327)
  • Art. 11-ter (Abrogazione)
  • Art. 12 (Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12)
  • Art. 12-bis (Modifiche alla legge 18 marzo 2008, n. 48)
  • Art. 12-ter (Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)
  • Art. 12-quater (Modifica all'articolo 25 delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448)
  • Art. 13 (Entrata in vigore)
La cultura di emergenza che invade il diritto penale mi fa tornare in mente le parole e le ragioni del professor Franco Bricola, teorico delle dottrine generali del diritto penale, ed in particolare del suo capolavoro, la "Teoria generale del reato" (1973), nella quale si rende evidente la dimensione politica e costituzionale del diritto penale.

Non ci può essere reato se non c'è «offesa colpevole» ai beni giuridici tutelati dalla Costituzione. Solo un'offesa di questo tipo può giustificare il sacrificio della libertà personale (uno dei massimi valori costituzionali) che ancora oggi consegue - direttamente o indirettamente - ad ogni tipo di pena. Perché ci sia un reato ci deve essere un'offesa o almeno un "pericolo concreto", il principio di colpevolezza e la ragionevole possibilità di conoscere la norma penale violata.

Ma la Costituzione è anche il luogo in cui si individuano i poteri dello Stato, il loro rango, le loro attribuzioni. Su questo si basa la certezza del diritto. La riserva di legge in materia penale prevista dall'art. 25 della Costituzione deve pertanto ritenersi come riserva assoluta: ciò implica che solo agli atti normativi provenienti in via esclusiva dal Parlamento possono introdurre norme e sanzioni penali.

Per questo motivo, non sono tollerabili intrusioni del potere esecutivo nel diritto penale, anche nella forma del decreto legislativo e del decreto legge, né sono tollerabili gli occulti interventi creativi del potere giudiziario, favoriti da norme incriminatrici sprovviste della necessaria precisione e determinatezza che portano agli abusi della "discrezionalità".

Per questo motivo, se si vuole veramente una giustizia giusta, è necessario innanzitutto che il Parlamento si riappropri delle sue attribuzioni costituzionali, negando l'approvazione di provvedimenti emergenziali in materia penale che aumentano il caos della legislazione penale e l'incertezza del diritto e della pena, aumentanto ancora di più la "discrezionalità" dei giudici.

Come di può vedere le ragioni del no al Decreto sicurezza stanno al di là della contrapposizione tra i giudici e la politica, che riempie le pagine dei giornali e dei telegiornali, e nascono da una profonda esigenza di giustizia che ha il suo fondamento nella lucida Costituzione della Repubblica italiana.

giovedì 10 luglio 2008

I problemi della giustizia e il lodo Alfano

Con la presentazione del DDL "Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato", il cd. "lodo Alfano", anche in questa legislatura è diventato chiaro come gli interessi personali di Berlusconi realivi ai suoi processi prevalgano sui reali problemi della giustizia.

Sulla giustizia occorrerebbe un confronto approfondito, non lo scontro tra poteri dello Stato, per ripristinare la certezza del diritto e la funzionalità degli apparati giudiziari, attraverso un intervento sulle cause sostanziali e strutturali che sono alla base del cattivo funzionamento dei tribunali italiani.

Con la presentazione del "lodo Alfano" si mira a reintrodurre con legge ordinaria, nel nostro ordinamento, l'immunità temporanea per reati comuni commessi dal Presidente della Repubblica, dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Presidenti di Camera e Senato anche prima dell'assunzione della carica. Si mira a fare approvare dal Parlamento una "leggina" che ha l'obiettivo di bloccare alcuni processi o indagini in cui è coinvolto il Presidente del Consiglio, coinvolgendo le altre cariche istituzionali solo per far evitare che si parli di una legge ad personam, pur essendo consapevoli che questa scelta potrà essere domani posta nel nulla da una censura della Corte costituzionale.

Questa scelta, infatti, è palesemente in contrasto con l'articolo 1, comma 2, e con l'art. 3, comma 1 della Costituzione. "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione"; "Tutti i cittadini .... sono eguali davanti alla legge": sono principi fondamentali della Costituzione che impediscono che si possano introdurre privilegi giurisdizionali per legge ordinaria, come chiarisce l'appello dei 100 costituzionalisti, pubblicato su Repubblica.

Prevale nella maggioranza di centrodestra quella cultura che, a parole, rivendica la giustizia e la libertà e, nei fatti, istituisce privilegi con provvedimenti eccezionali e urgenti che contrastano con i principi di libertà e di uguaglianza che sono scritti nella nostra Costituzione repubblicana. E, così, si grida contro la "casta" e si approvano leggi che aumentano i privilegi della "casta".

Il centrodestra ancora una volta si è affidato alla leaderschip di Berlusconi per vincere le elezioni ma, ancora una volta, vinte le elezioni, l'ascesa al Governo di Berlusconi impedisce al centrodestra di essere in grado di rispondere alle reali esigenze del Paese.

mercoledì 9 luglio 2008

Le priorità del Paese e le scelte economiche del Governo

Secondo un recente sondaggio dell’Istituto IPR Marketing il costo della vita e la perdita di potere d'acquisto di salari e pensioni risulta infatti la principale preoccupazione degli italiani (dal 69% degli intervistati) indipendentemente dalle opinioni politiche.
La crescita dell'inflazione, derivante in gran parte dall'aumento dei prezzi del petrolio e dei prodotti alimentari su scala mondiale, la crisi dei mercati immobiliari e finanziari e l'aumento dei tassi di interesse in Europa, sono condizioni oggettive che renderanno senza dubbio ancora più forte l'attenzione alle condizioni dei bilanci familiari.
Sia il il PDL che il PD, durante la campagna elettorale, hanno condiviso nelle loro proposte la necessità di affrontare prioritariamente il tema della difesa del potere di acquisto delle famiglie ed, in particolare, dei redditi più bassi.
Gli interventi del Governo previsti dal decreto legge 93/08 per la salvaguardia del potere d'acquisto delle famiglie e dal decreto legge 112/08 sulla manovra finanziaria non sembrano andare in questa direzione, poiché alla fine portano ad un complessivo inasprimento della pressione fiscale e non avvantaggiano i redditi più bassi.
Se si pone attenzione più da vicino al tema delle dinamiche salariali, evidenziato dall'articolo di De Cecco "Salari amari", si può inoltre valutare con più attenzione l'errore compiuto dal Governo con la scelta della detassazione degli straordinari.
Essa interviene su un mercato del lavoro, come quello italiano, nel quale si è assistito negli ultimi 15 anni ad un aumento delle ore lavorate, che non ha corrisposto ad una crescita della produttività e delle retribuzioni, come dimostrano i dati ISTAT del luglio '08 e i dati dell' Outlook sull'Occupazione dell'OCSE.
Purtroppo si punta ancora sulla quantità e non sulla qualità.
Invece di chiedere di lavorare di più a chi lavora già tanto, occorrere diminuire il peso delle tasse sul lavoro dipendente per aumentare il potere di acquisto dei salari e degli stipendi e rendere conveniente l'assunzione del personale più qualificato che può dare un contributo all'innovazione e alla competività del sistema produttivo italiano, anche attraverso una riforma del sistema contrattuale pubblico e privato che rafforzi il legame fra il salario e la produttività.

sabato 28 giugno 2008

Federalismo a parole, centralismo nei fatti.

Già il mese scorso avevo commentato i primi provvedimenti del Governo tra i quali un posto di primo piano hanno le misure per la riduzione del carico fiscale che ora sono all'esame della Camera dei Deputati per la conversione del Decreto legge 93/08 recante "disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie".
Tra le diverse misure, l'eliminazione dell'ICI sull'abitazione principale è quella che ha l'obiettivo dichiarato di dare un segnale facilmente percepibile nella direzione della riduzione del carico fiscale, anche in considerazione di ciò che è stato dichiarato in campagna elettorale.
Ma è veramente così? Non sembrerebbe:
- il DPEF 2009 - 2013 presentato dal Ministro Tremonti non prevede una riduzione della pressione fiscale;
- la copertura prevista nel decreto legge per l'abolizione dell'ICI mostra che per finanziare le misure sull'ICI sono azzerati i finanziamenti sulla viabilità in Calabria e in Sicilia e sono cancellati i fondi per le metropolitane di Bologna e di Torino e il tramvia di Firenze.
Si crea perciò una "illusione tributaria", perché i contribuenti pagheranno in altre forme (con il taglio a servizi e investimenti previsti o con altre tasse) ciò che viene loro presentato come un regalo, mentre si potevano utilizzare le risorse dell'extragettito determinato dall'incremento delle entrate fiscali operato dal Governo precedente grazie agli interventi sull'evasione fiscale.
La legge finanziaria del 2008 aveva previsto che "...le maggiori entrate sono destinate alla riduzione della pressione fiscale nei confronti dei lavoratori dipendenti". Tutte le forze politiche avevano concordato in campagna elettorale che, di fronte alla difficile congiuntura economica, occorreva dare priorità alla riduzione delle tasse sugli stipendi dei lavoratori dipendenti per aumentare davvero il potere d'acquisto delle famiglie. Con l'abolizione dell'ICI anche sulle case dei ceti con alto reddito si va invece in una direzione diversa.
Dal punto di vista strutturale, sembra confermata l'osservazione di Gilberto Muraro: "L'abolizione dell'Ici è una vittoria dell'apparenza sulla sostanza. Proprio perché l'imposta riguarda l'80 per cento degli italiani, dovrebbe essere chiaro che gli stessi beneficiari dovranno pagare in altre forme quello che è presentato come un regalo. Il minor gettito dei comuni sarà compensato con trasferimenti dal centro. Ma mentre l'Ici si autoregola, un sussidio per definizione genera una domanda unanime di incremento. Tutto fa pensare che nella manovra su imposte nazionali per sostituirne una locale non ci sia alcun guadagno né di efficienza né di equità".
L'abolizione dell'ICI, infatti, comporta una compressione dell'autonomia finanziaria dei Comuni e una centralizzazione del sistema tributario proprio nel momento in cui si dovrebbe avviare il federalismo fiscale ed introdurre un rapporto tra le istituzioni e i cittadini basato sull'autonomia e sulla responsabilità.
La riflessione sull'abolizione dell'ICI potrebbe inserita nella prospettiva dell'attuazione dell'art. 119 della Costituzione, per avviare il federalismo fiscale insieme al processo complessivo di riordino degli assetti istituzionali.
In questa prospettiva è evidente che ogni livello di governo dovrebbe avere un cespite di riferimento (ad esempio, gli immobili per i Comuni, le autovetture per le Province, i consumi per le Regioni) sul quale poter attivare le leve dell'autonomia tributaria per l'esercizio delle funzioni istituzionali in autonomia e responsabilità.
Anche con l'abolizione dell'ICI è molto probabile che, per il futuro, gli immobili resteranno per i Comuni la base di riferimento della loro autonomia tributaria (come avviene nella gran parte degli altri paesi in Europa e nel mondo).
Visto che il Governo ha ormai preso la decisione di abolire l'ICI sulla prima casa, proprio la prospettiva del federalismo fiscale dovrebbe comunque spingere i Comuni a verificare bene la base imponibile residua (seconde case, abitazioni di lusso, altre immobili) anche al fine di operare una ricognizione aggiornata della situazione degli immobili del proprio territorio.
Senza dilungarmi ulteriormente sul tema voglio solo aggiungere in conclusione una citazione di un lucido scritto di Luigi Einaudi del 1959: "Se regioni, provincie, comuni devono ricorrere ad entrate proprie, nasce il controllo dei cittadini sulla spesa pubblica, nasce la speranza di una gestione sensata del denaro pubblico. Se gli enti territoriali minori vivono di proventi ricevuti o rinunciati dallo stato, di proventi di cui lo stato ha bisogno per soddisfare ai compiti suoi, o vivono, come accade, addirittura di sussidi, manca l'orgoglio del vivere del frutto del proprio sacrificio e nasce la psicologia del vivere a spese altrui, dell'emulazione nel chiedere sempre e non essere mai contenti..." (Torino, 'Che cosa rimarrebbe allo Stato?').
E' una citazione ripresa dalla Guida alla Mostra "L’eredità di Luigi Einaudi: la nascita dell’Italia repubblicana e la costruzione dell’Europa”, organizzata a Roma nel Palazzo del Quirinale fino al prossimo 6 luglio, che consiglio a tutti di visitare.

venerdì 27 giugno 2008

Per la società della conoscenza

Ieri sera, 27 giugno, ha preso il via la prima festa del PD di Latina, con un'interessante dibattito, organizzato dall'Associazione Libertà Eguale "Altiero Spinelli", su FLEXICURITY, MERCATO DEL LAVORO E NUOVO STATO SOCIALE.
Il Prof. Paolo Borioni (della Fondazione Gramsci) e il Sen. Tiziano Treu, partendo dall'esperienza dei paesi scandinavi, hanno evidenziato la necessità di predisporre anche in Italia, come in tutta Europa, strumenti di politiche attive del lavoro che consentano di tenere insieme la prospettiva dell'apertura delle nostre economie, la capacità di investimento e di innovazione, la tutela dinamica dei lavoratori (piuttosto che dei posti di lavoro), con un forte investimento sulla formazione e sulla conoscenza.
Alle spinte alla chiusura e alla difesa degli assetti corporativi, alle paure che si diffondono nel continente, è possibile contrapporre la prospettiva di un'economia e di una società aperta, capace di favorire le strategie di innovazione produttiva che sfruttino al meglio le risorse, i talenti, la creatività di cui è ricca l'Italia e l'Europa.
Perché ciò sia possibile occorre tuttavia porre al centro della politica il binomio "lavoro - conoscenza", riorganizzare l'esperienza di vita e di lavoro e i processi produttivi, prevedendo percorsi di formazione continua che permettano di coniugare la flessibilità e la sicurezza sia nell'accesso al lavoro, sia nella pienezza della vita lavorativa, sia nell'uscita dal lavoro, in modo da favorire la crescita dell'occupazione anche in termini qualitativi e la costruzione di un ponte di solidarietà intergenerazionale.
Gli investimenti su ricerca, innovazione, istruzione, formazione professionale, politiche attive del lavoro diventano allora la misura di quanto si pensa al futuro del Paese.
Il Partito Democratico su questi punti ha già abbozzato, grazie a Damiano e Treu, una strategia di riforma e di azione. Essa può diventare un punto di riferimento per le proposte da presentare in Parlamento anche rispetto alla manovra finanziaria appena approvata dal Governo.
Ma l'investimento sulla "società della conoscenza" è una strategia che da far vivere anche nel territorio.
In vista delle elezioni provinciali del prossimo anno a Latina si dovrà costruire una proposta innovativa in quelle materie (scuola, formazione, servizi e politiche per il lavoro) che sono di competenza della Provincia e su cui si costruiscono le prospettive di vita e di lavoro dei giovani.
Al di là delle proposte politiche ed amministrative è però possibile costruire un patto fra tutti i lavoratori della conoscenza (i docenti, i ricercatori, i lavoratori intellettuali) per sviluppare un movimento di solidarietà che anticipi nella società le politiche di investimento sull'innovazione e sulla conoscenza che si vogliono proporre nei diversi livelli di governo, attraverso l'apertura delle scuole e dei loro laboratori al territorio e lo sviluppo di corsi di formazione e di esperienze diffuse di "apprendistato sociale", che superino gli attuali limiti della formazione professionale e continua.
Lo Stato sociale, nella storia del secolo scorso, non è piovuto dal cielo ma è stato frutto di lotte e percorsi di solidarietà di cui sono stati protagonisti soprattutto il movimento socialista e il movimento popolare.
Allo stesso modo, il "movimento democratico" (non solo il PD, ma l'insieme delle forze che convergano sulla priorità di questa strategia) può divenire il motore di un diffuso investimento sociale per "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese", per affermare la "Società della conoscenza" e dare finalmente corpo al carattere originale della nostra Costituzione repubblicana che qualifica l'Italia come una "repubblica democratica, fondata sul lavoro".

lunedì 16 giugno 2008

Il coraggio di investire sul futuro dell'Europa.

La vittoria del no al referendum del 12 giugno in Irlanda sul Trattato di Lisbona riapre il dibattito sul futuro dell'Unione europea.
I Governi dei diversi paesi membri, dopo la pausa di riflessione dovuta al rigetto del Trattato sulla costituzione europea da parte dei cittadini francesi ed olandesi, avevano sperato che si potesse ratificare il Trattato di Lisbona entro la fine del 2008, prima delle prossime elezioni del Parlamento europeo, attraverso una ratifica parlamentare da parte dei diversi Paesi membri, poiché il nuovo Trattato non si pone l'obiettivo di approvare una “Costituzione” europea.
A questo percorso solo l'Irlanda ha opposto la necessità del ricorso al referendum popolare, poiché la sua Costituzione lo richiedeva.
Nonostante che la gran parte delle classi dirigenti irlandesi (delle forze politiche e delle rappresentanze sociali) sostenesse l'approvazione del Trattato, le forze contrarie sono riuscite a prevalere, facendo leva sulle paure suscitate dalla crisi economica e sui rischi di un'invadenza della burocrazia europea e della perdita dell'identità nazionale.
Si sono opposti al Trattato il Partito cattolico nazionalista dell'Irlanda del Nord il (Sinn Fein), alcune frange minoritarie di estrema destra ed estrema sinistra e un ricco uomo d'affari (Ganley) che ha investito molte risorse nei mass media per il no al referendum. Tuttavia, più in profondità, hanno influito sul risultato anche le posizioni di molti settori dell'establishment degli USA, della Chiesa cattolica, dei circoli ultra-liberisti che si oppongono all'idea di un'Europa politicamente unita, che riafferma la tradizione dell'illuminismo e il modello dell'economia sociale di mercato.
Di fronte al rifiuto irlandese, occorre innanzitutto evitare che gli altri paesi europei perdano la testa e proseguire il percorso di ratifica parlamentare negli 8 paesi che mancano (tra cui l'Italia, l'Inghilterra e la Spagna) per arrivare entro la fine dell'anno alla ratifica del Trattato di Lisbona almeno da parte dei 4/5 degli Stati membri. E' la strada prevista dall'art. 48 del Trattato, che le istituzioni europee e i Paesi più importanti dell'Europa (la Germania, la Francia, la Spagna e, fino ad ora, anche la reticente Inghilterra) stanno indicando. E' la strada che dovrebbe essere seguita rapidamente anche dall'Italia, superando i ricatti che la Lega può porre al Governo e al Parlamento, attraverso un lavoro comune delle forze di maggioranza e di opposizione.
La ratifica del Trattato di Lisbona da parte di una larga parte degli Stati membri consentirebbe ad essi di insistere sul processo di unificazione, evitando di incagliarsi sui veti posti da alcuni Stati contro gli impegni sottoscritti. Si darebbe vita in questo modo ad un progetto comunque aperto all’adesione dei diversi Stati e popoli che compongono l'Unione europea, nei tempi e con gli adattamenti che si ritengano necessari.
Questa complessa strategia è sicuramente una costruzione ardita dal punto di vista giuridico, ma non risolve il problema del distacco profondo che negli ultimi anni si è aperto tra i cittadini e le istituzioni europee.
Dopo la fase di unificazione europea del dopoguerra che è servita a superare il conflitto storico franco-tedesco, dopo la fase dell'unificazione funzionale delle frontiere e della moneta seguita alla fine dell'Unione sovietica, occorre aprire una riflessione profonda sull'identità politica dell'Europa.
Da un lato, i cittadini europei sentono sempre più di far parte di un'unica entità sovranazionale, che consente di affrontare insieme le sfide della globalizzazione e dei cambiamenti dell'economia mondiale. Dall'altro, non riescono ancora a capire bene cosa è l'Europa: sanno che non è uno Stato, che non è una Confederazione di stati, ma hanno molti dubbi su un potere dai confini non ben definiti e di cui non è ben chiara la legittimazione democratica.
Per questi motivi è indispensabile che, accanto al completamento del processo di ratifica del Trattato di Lisbona, si apra immediatamente un dibattito per rilanciare la prospettiva politica e democratica di un'Europa federale, nella quale sia esplicitata la doppia legittimazione dell'Unione europea: quella degli Stati membri e quella dei popoli europei.
Le elezioni del Parlamento europeo del 2009, in questa prospettiva, rappresentano un'occasione da non perdere. Occorre fare in modo che, in vista di questa scadenza, ci sia un dibattito politico che consenta la formazione di forze politiche continentali che abbiano veramente un progetto comune, innanzitutto sulla futura identità istituzionale dell'Unione europea. Anche la stessa discussione sulla collocazione internazionale del PD dovrebbe focalizzarsi su questo obiettivo,per consentire di costruire una vasta alleanza di forze progressiste e democratiche favorevoli all'unificazione politica dell'Europa.
Se, come è ipotizzabile, entro il 2008 oltre i 4/5 dei Paesi membri avranno ratificato il Trattato di Lisbona, tutti le forze europeiste (e, soprattutto, i federalisti convinti) dovrebbero proporre di affiancare alle elezioni del Parlamento un referendum consultivo europeo sul nuovo Trattato.
Questa scelta consentirebbe di rafforzare il fondamento democratico del processo di costruzione dell'Unione europea e, allo stesso tempo, permetterebbe anche agli Stati più recalcitranti di verificare la volontà dei loro popoli, non in un contesto nazionale strumentalizzato, ma in un dibattito pubblico continentale.
E' evidente che questa scelta comporta il rischio di un voto negativo da parte dei cittadini europei: ma non è pensabile di dar vita ad una costruzione così ardita come l'unificazione politica europea se non si ha il coraggio di rischiare.
Su questa scelta si potrà pertanto verificare se, nelle forze politiche e nella società civile, potrà finalmemte emergere una classe dirigente che, consapevole delle sfide che insieme dobbiamo affrontare nel mondo, sia capace di proporre un progetto chiaro, credibile e duraturo ai singoli cittadini e alle nazioni che compongono l'Unione europea.

venerdì 13 giugno 2008

Le paure dell'Occidente e la cultura dell'emergenza

Le paure dell'Occidente sono state uno dei punti centrali dell'intervento del Sen. Enrico Morando nell'incontro organizzato dall'Associazione "A. Spinelli".
E' stato affermato che il bisogno di sicurezza dei cittadini (rispetto alla globalizzazione, all'immigrazione, alla precarietà, ...) abbia rappresentato una delle cause primarie della vittoria elettorale del centrodestra, poiché il Governo Prodi e lo stesso Partito Democratico non hanno saputo dare risposte ad esso. In questo senso, la scelta di approvare l'indulto ha rappresentato uno dei punti fondamentali di crisi del rapporto tra il centrosinistra e il Paese.
Io ritengo che il Partito Democratico debba mettere al centro della sua riflessione il bisogno di sicurezza dei cittadini, nelle diverse dimensioni in cui si manifesta, soprattutto per rispondere alle domande delle fasce più deboli della popolazione.
Tuttavia, se il PD vuole dare risposte avanzate a questo bisogno deve evitare di copiare le ricette della destra e uscire dalla cultura dell'emergenza che sta caratterizzando le scelte del legislatore italiano. L'indulto (non solo quello votato in Parlamento, ma quello quotidiano di un apparato giudiziario che non dà certezza di pena ai reati commessi) è l'altra faccia di scelte legislative che inaspriscono le sanzioni penali come risposta di immagine alle paure spesso ingigantite dai mass media.
La legislazione di emergenza non può dare risposte ai bisogni di sicurezza, ma al contrario alimenta le paure dei cittadini.
La risposta dei riformisti, invece, è il recupero della nobile tradizione di Cesare Beccaria sulla certezza "dei delitti e delle pene".
Non abbiamo bisogno di altre sanzioni penali, ma di allegerire l'intervento del diritto penale sull'ordinamento per far funzionare altri tipi di sanzione (sanzioni amministrative, indennizzi, risarcimenti....). Abbiamo bisogno di sanzioni certe e di un'amministrazione che possa effettivamente farle valere, sia nei confronti dei deboli (fessi) che dei forti (furbi), sia nei confronti della piccola criminalità che della grande criminalità.
In questa prospettiva, la parola d'ordine del PD su questi temi deve essere quella di collegare strettamente la sicurezza e la legalità, per combattere le tante piccole e grandi impunità quotidiane e garantire a tutti la libertà di vivere in Paese sicuro ed accogliente.

giovedì 5 giugno 2008

Il nodo Europa

Nel Consiglio dei ministri dello scorso 30 maggio la maggioranza che sostiene il Governo Berlusconi ha cominciato a mostrare le prime crepe su una questione centrale per il futuro del nostro Paese e dell'Europa: la ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007.
Il "Trattato di Lisbona" è stato redatto per sostituire la Costituzione europea bocciata dai referendum francese e olandese del 2005, sulla base del'intesa arrivata a Berlino nel 2007, in occasione dei 50 anni dell'Europa unita, per rilanciare il processo unitario europeo.
L'Italia, innanzitutto, deve onorare gli impegni presi in sede europea per pervenire entro la fine di quest'anno alla ratifica del Trattato, per riuscire a farlo entrare in vigore il 1° gennaio 2009, prima delle elezioni europee. E' perciò necessario che il Parlamento italiano approvi la legge di ratifica entro l'estate, attraverso un lavoro comune della maggioranza e dell'opposizione che permetta di rappresentare unitariamente la volontà del Paese in ambito europeo.
Contro questo impegno unitario, la Lega Nord ha assunto nel Consiglio dei ministri una posizione differente che mira a sottoporre, anche in Italia come in Irlanda, la ratifica del Trattato ad un referendun popolare. A questa posizione si sono associate anche alcuni esponenti della sinistra comunista ed extraparlamentare. La richiesta del referendum in un solo paese, al di là della demagogia, cerca di utilizzare le paure diffuse dei cittadini rispetto ai processi di globalizzazione per conservare gli assetti attuali degli Stati nazionali ed impedire la ratifica del nuovo Trattato europeo.
Il Partito democratico, coerentemente con le posizioni assunte nella precedente legislatura e dai suoi più importanti esponenti in sede europea, ha innanzitutto il compito di incalzare il Governo e la maggioranza parlamentare per giungere ad una rapida ratifica del Trattato, che sia il frutto di una larga convergenza di tutte le forze sinceramente europeiste.
Allo stesso tempo, su questo tema, può aprire un confronto ulteriore nel Parlamento, in Italia e in Europa, per sollecitare l'approvazione a livello europeo di una normativa elettorale unica per le prossime elezioni del 2009, che superi l'attuale babele di sistemi di elezione e permetta di dare una legittimanzione unitaria al Parlamento europeo. In questa prospettiva di unificazione politica si può proporre anche l'indizione di un referendum consultivo sul trattato di Lisbona, da tenersi insieme alle elezioni del Parlamento europeo in tutti i paesi membri, per mettere al centro del dibattito politico continentale del prossimo anno il tema dell'unificazione politica dell'Europa come vera risposta alle sfide della globalizzazione.

lunedì 26 maggio 2008

I primi provvedimenti del Governo a Napoli

Con la riunione del Consiglio dei Ministri, tenutasi a Napoli il 21 maggio, il Governo Berlusconi ha avviato i lavori della nuova legislatura ha voluto onorare gli impegni presi in campagna elettorale, approvando provvedimenti in materia di superamento dell’emergenza rifiuti nella regione Campania, sicurezza pubblica, diminuzione del carico fiscale.
Ad un primo sommario esame, questi provvedimenti hanno un approccio emergenziale che serve a tranquillizzare l'opinione pubblica, ma non offrono una prospettiva stabile e duratura per risolvere i problemi che si vogliono affrontare.

Emergenza rifiuti a Napoli e in Campania
Per risolvere la situazione legata allo smaltimento dei rifiuti a Napoli e in Campania, il Consiglio dei ministri ha nominato Guido Bertolaso a Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all'emergenza rifiuti ed ha approvato un decreto legge che individua le discariche da aprire e che prevede la costruzione di quattro termovalorizzatori in Campania.
Il decreto legge non mette ordine al complesso sistema delle gestioni commissariali con le quali è stata fino ad oggi affrontata l'emergenza rifiuti in Campania, sistema che è all'origine di molte disfunzioni e sprechi, che anzi ha vanificato il ruolo degli enti locali e che non ha saputo né risolvere il problema rifiuti, né intaccare il potere della camorra nella gestione delle discariche.
Viene anzi creata una nuova struttura, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, facendo aumentare il numero di sottosegretari attualmente previsto dalla legge. Il Sottosegretario si aggiunge alle gestioni esistenti con poteri straordinari e l'emergenza rifiuti viene prorogata fino al 31 dicembre del 2009.
In ogni caso, il piano varato con il decreto legge raccoglie le proposte elaborate in questi mesi dal commissario De Gennaro insieme alla Regione e alle Autonomie locali e definisce un quadro unitario di scelte e di azioni necessarie per uscire rapidamente dalla crisi e per realizzare finalmente un ciclo integrato di smaltimento dei rifiuti.
Ma occorre porsi l'obiettivo di uscire dall'emergenza, con un'azione che valorizzi la responsabilità degli enti territoriali che necessariamente avrà bisogno di nervi saldi, tempi lunghi, grande pazienza. Dopo le tante polemiche è arrivato il momento in cui tutte le forze politiche e tutte le istituzioni della Repubblica devono collaborare per liberare Napoli e la Campania dai rifiuti. Un impegno che è strettamente legato a quello per liberare Napoli e la Campania dalla camorra.


Pacchetto sicurezza

Il "pacchetto sicurezza" del Governo prevede un decreto-legge immediatamente operativo, un disegno di legge che avrà una corsia preferenziale in Palamento, alcuni decreti legislativi di recepimento di direttive comunitarie.
Si cerca di rispondere alle paure dei cittadini suscitate dalla crescita dell'immigrazione attraverso l'inasprimento delle pene e delle misure per contrastare l'immigrazione clandestina che rischiano di creare un diritto penasle speciale per gli immigrati in contrasto con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (reato di ingresso illegale, prolungamento a 18 mesi di permanenza nei CPT, limitazioni ai matrimoni di convenienza e ai ricongiungimenti familiari, revoca dello status di rifugiato) invece di costruire una politica fondata sull'accoglienza e sulla legalità.
Si realizza un "giro di vite" sui comportamenti che più colpiscono l'opinione pubblica (guida in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, omicidio commesso in violazione delle norme sulla circolazione stradale e sugli infortuni sul lavoro, divieto di patteggiamento in appello per i reati di criminalità organizzata, ecc). Come sempre, nel rispetto della tradizione schizofrenica del nostro legislatore, invece di mettere in campo un intervento riformatore che dia certezza all'azione della polizia e della magistratura, attraverso il rafforzamento delle azioni per il ripristino della legalità e per la certezza delle pene, si segue la logica emergenziale dell'inasprimento delle sanzioni penali che rappresenta esattamente l'altra faccia dell'indulto.
La stessa cosa avviene con il maggiore coinvolgimento dei Sindaci nelle tematiche della sicurezza: è concesso il potere adottare provvedimenti urgenti per prevenire ed eliminare gravi pericoli per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana ma non si affronta con coerenza il tema del coordinamento tra le polizie nazionali e le polizie locali per coordinare stabilmente gli interventi sull'ordine pubblico e la sicurezza e gli interventi a difesa della legalità.

Diminuzione del carico fiscale
La diminuzione del carico fiscale è attuata con alcuni interventi che non affrontano in modo strutturale i temi principali che il Paese deve affrontare: la semplificazioine del sistema fiscale legata all'avvio del federalismo fiscale e il rilancio della produttività.
L’eliminazione dell’imposta comunale per l’abitazione principale dei contribuenti (ICI) escluse le abitazioni di lusso infatti crea una “illusione tributaria”, perché i contribuenti dovranno in altre forme pagare ciò che viene loro presentato come un regalo. Allo stesso tempo comporta una compressione dell'autonomia finanziaria dei Comuni proprio nel momento in cui si dovrebbe avviare il federalismo fiscale ed introdurre un rapporto le istituzioni e i cittadinibasato sull'autonomia e la responsabilità.
La rinegoziazione dei mutui rischia di riproporre nei conti privati lo schema della finanza creativa che abbiamo già sperimentato nei conti pubblici poiché offre l'allettante prospettiva di un beneficio immediato a fronte di un maggiore onere futuro.
La detassazione dello straordinario dei dipendenti del settore privato, in via sperimentale, rischia di privilegiare solo alcune figure a discapito di altre e di trasformarsi in un incentivo a una massiccia operazione di elusione fiscale, a favore soprattutto delle imprese del Nord, che verrebbe pagata da tutti gli altri contribuenti. Ma, soprattutto, non affronta l'esigenza prioritaria di incentivare effettivamente il recupero di competività del sistema produttivo, attraverso una riforma del sistema contrattuale pubblico e privato che rafforzi il legame fra salario, produttività e condizioni locali del mercato del lavoro.

domenica 11 maggio 2008

Il Governo Berlusconi IV e il Governo ombra del PD

Il chiaro esito delle elezioni politiche del 13 e 14 giugno ha consentito a Berlusconi e alla coalizione che lo sostiene di procedere con molta rapidità ai primi adempimenti della XVI legislatura.
I Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica sono stati eletti tra i rappresentanti delle due maggiori forze che hanno dato vita al Popolo della libertà.
Il Presidente del Consiglio ha accettato senza riserve l'incarico conferitogli dal Presidente della Repubblica e ha formato immediatamente il nuovo Governo, che si presenta come un Governo del Primo ministro. Nel Governo Berlusconi IV, che si è insediato lo scorso 8 maggio, non ci sono Ministri esterni alla maggioranza e i Ministri più importanti fanno diretto riferimento Presidente del Consiglio. Anche se è stato rispettato il numero di Ministri con portafoglio previsto dalla legge, è evidente una certa certa ridondanza di incarichi tra quelli senza portafoglio, che può complicare la ripartizione dei compiti tra i diversi Ministri.
Il Partito Democratico è ancora alle prese con la discussione sulle ragioni della sconfitta. Tuttavia, in quanto principale partito di opposizione, non ha perso tempo e ha cominciato a riorganizzarsi attraverso l'elezione dei capigruppo di Camera e Senato, la costituzione del Governo ombra e di un Coordinamento che affiancherà il Segretario, Walter Veltroni, nelle funzioni di direzione politica del PD. La costituzione del Governo ombra deve portare a rivedere gli incarichi del Partito, poiché occorre evitare le sovrapposizioni e rendere evidenti le responsabilità nelle diverse politiche settoriali.
La nascita del Governo e la costituzione del Governo ombra possono favorire l'avvio di un nuovo rapporto tra maggioranza e opposizione, a partire dal diverso ruolo che esse svolgono nel Parlamento.
Da un lato, su alcuni temi di interesse nazionale, occorre superare la logica dello scontro a priori: la Costituzione, le riforme istituzionali, la politica estera e la posizione dell'Italia nell'Unione europea sono campi sui quali si dovrebbe sviluppare un confronto costante tra maggioranza e opposizione, per trovare alcuni fondamentali punti di accordo e un minimo comun denominatore a tutela dell'interesse generale e della tenuta del Paese.
Dall'altro, sulla politica economica e sulle altre scelte di governo, è naturale che l'opposizione dovrà incalzare la maggioranza senza paura, criticare le sue proposte se ritenute non valide, proporre delle soluzioni alternative, definire una sua agenda di priorità sulla quale ricercare in modo chiaro il consenso popolare.
Ma l'attività del Partito Democratico non può essere legata solo alla dinamica parlamentare.
Le ragioni della sconfitta sono profonde - non solo di natura politica ma anche di natura economica - e occorre riprendere con cura il percorso di radicamento territoriale e di definizione di una chiara identità riformatrice del Partito Democratico nel contesto europeo, anche per affrontare in modo positivo le prossime sfide delle elezioni amministrative ed europee.
E' un impegno non scontato, faticoso ma non impossibile. Soprattutto se il PD evita le scorciatoie delle scelte piovute dall'alto e recupera la capacità di coinvolgimento e di partecipazione democratica che si è avuta nelle elezioni primarie e che costituisce uno degli elementi innovativi del suo statuto.
Diamo fiducia al popolo dell'Ulivo e alle sue aspettative di partecipazione democratica; affidiamo ad esso le scelte sulla collocazione politica del PD in Europa e sulle candidature da presentare alle prossime scadenze elettorali.

sabato 3 maggio 2008

Le ragioni della sconfitta

!?

Le elezioni politiche del 13 -14 aprile 2008 rappresentano senza dubbio una cocente sconfitta per il Partito Democratico e il complesso delle forze del centrosinistra, soprattutto se si leggono insieme ai risultati delle elezioni amministrative ed, in primo luogo, alla sconfitta subita nel ballottaggio al Comune di Roma.

1. Una sconfitta democratica

All'origine di questa sconfitta c'è, in primo luogo, una ragione puramente democratica.
Gli italiani hanno punito l'incapacità delle forze di centrosinistra di stare insieme e governare il Paese per realizzare in 5 anni ciò che era scritto nel programma dell'Unione.
Il Governo Prodi è franato soprattutto sulle sue contraddizioni.
C'era un'evidente schizofrenia tra l'obiettivo ambizioso e unitario dell'Unione, l'azione di governo, le dichiarazioni di singoli ministri e e la frammentazione delle forze politiche che facevano parte della coalizione.
In alcuni casi (formazione del Governo, numero di ministri e sottosegretari) è stato rinnegato il programma elettorale; in altri (l'indulto) si è privilegiato un intervento di emergenza rispetto a riforme strutturali che garantissero il funzionamento della giustizia e la certezza delle pene; in altri (il protocollo del sul welfare) sono venuti al pettine i nodi irrisolti che erano dentro lo stesso programma dell'Unione.
Più in generale l'Unione non è riuscita a gestire unitariamente il passaggio dalla fase di risanamento della spesa pubblica a quella di sviluppo del progetto per il rilancio del Paese.
Il risultato elettorale punisce pesantemente soprattutto le forze che più hanno contribuito con i loro comportamenti e con le loro azioni alla caduta del Governo Prodi, ma segna una sconfitta complessiva per le forze del centrosinistra che non hanno saputo affrontare con unitarietà, coerenza e capacità la sfida del governo.


2. Una sconfitta sociale, territoriale e culturale

La nuova affermazione di Berlusconi (la terza in 14 anni) e il risultato del Popolo della libertà e dei suoi alleati hanno tuttavia radici profonde e di più lunga durata.
In questi anni, l'Italia ha avviato un lungo processo di transizione istituzionale che è stato da tutti visto come la necessaria risposta alla bassa capacità di crescita del paese e che purtroppo non è arrivato ancora a compimento. La grave crisi della finanza pubblica e la situazione del debito pubblico ereditata dagli anni '80, insieme all'ingresso del nell'Unione europea e nell'area dell'euro, hanno costretto i diversi governi a manovre finanziarie che hanno colpito le capicità di investimento e di consumo del Paese. La globalizzazione e il forte sviluppo delle nuove economie emergenti (Cina, India ...) hanno messo in difficoltà il tradizionale settore manifatturiero in cui l'Italia eccelleva, penalizzando le capacità di esportazione. In un periodo di bassa crescita economica si è assistito allo spostamento della ricchezza reale dai salari alle rendite e ai profitti e al parallelo aumento dei livelli di disuguaglianza sociale e territoriale.
L'Italia è stata descritta come un paese in declino, ripiegato su se stesso e che non riesce a trovare una visione condivisa per rilanciare il suo ruolo nazionale e internazionale: uno specchio in frantumi in cui prevalgono le istanze particolaristiche e corporative.
I partiti di centrosinistra e i sindacati che ad essi sono tradizionalmente collegati non hanno saputo portare a completamento la lunga transizione istituzionale che caratterizza l'Italia dal 1992 e non hanno fornito una prospettiva di rilancio al Paese. Hanno perduto la capacità di insediamento sociale nella società italiana che è stata percorsa da profondi processi di ristrutturazione del tessuto produttivo (riorganizzazione e delocalizzazione delle imprese), del mercato del lavoro (che è divenuto molto più precario) e della sua composizione demografica (il costante aumento della popolazione immigrata).
I partiti del centrodestra, invece, sono riusciti a rappresentare meglio le diverse facce del Paese. L'Alleanza tra il Popolo delle libertà, la Lega, il MPA ha consentito di trovare delle risposte differenziate nelle diverse aree del Paese. E la capacità di rappresentanza territoriale non si è limitata al Nord e alla Sicilia, ma è arrivata a radicarsi quasi in tutto il Paese, con una ricaduta evidente anche sul voto amministrativo di Roma. Le uniche aree geografiche che si resistono allo spostamento del voto a destra sono le tradizionali regioni rosse del centro-nord.
Anche se sono evidenti le contraddizioni politiche e culturali la coalizione di centrodestra ha saputo interpretare gli orientamenti profondi del Paese grazie ad una rinnovata presenza nella società, non solo tra gli imprenditori e i professionisti ma anche tra gli operai e le fasce più popolari (circoli, sindacati, apparati di informazione, ecc.).
E' evidente che le diverse risposte delle forze del centrodestra hanno trovato un cemento straordinario in Berlusconi che, a partire dalla sua presenza negli apparati informativi e dalle sue capacità di comuicazione, ha saputo costruire in questi anni un solido sistema di alleanze politiche ed un'egemonia culturale che hanno profondamente influenzato l'opinione pubblica: segni evidenti di ciò sono le analisi e le idee contenute nell'ultimo libro di Tremonti, come lo spazio dato alle tematiche della sicurezza in tutte le televisioni durante la campagna elettorale politica e amministrativa.


3. Il risultato del Partito Democratico

Di fronte alla crisi evidente e alla frammentazione dell'alleanza che sosteneva il secondo Governo Prodi, la nascita del Partito Democratico ha rappresentato l'unico vero tentativo di rispondere attraverso una nuova proposta politica alla sfida elettorale.
La scelta di trasformare l'alleanza elettorale dell'Ulivo in un vero partito riformatore si sarebbe dovuta avviare probabilmente già dopo la caduta del primo Governo Prodi nel 1998. Tuttavia il Partito Democratico, dopo un lungo travaglio, è finalmente nato, attraverso un processo costituente che ha visto la confluenza dei DS e della Margherita nel nuovo Partito, la partecipazione di oltre 3 milioni di persone e una prima adesione di oltre 1 milione di persone.
La scelta di affrontare da soli la sfida delle elezioni politiche del 13 e 14 aprile non è stata evidentemente sufficiente per cambiare l'esito del voto.
Il voto ravvicinato è intervenuto quando ancora era in corso la fase costituente del PD: le differenze dell'esito del voto politico nelle diverse aree territoriali, nelle aree urbane rispetto ai centri minori, i diversi rislutati del voto amministrativo devono essere letti anche in questa luce.
Al di là delle ragioni oggettive della sconfitta elettorale, occorre pertanto avviare una riflessione approfondita anche sulle modalità con le quali è stato avviata la costruzione del nuovo Partito a livello nazionale e nei diversi territori.
Senza dubbio l'emergenza elettorale e la forte verticalizzazione dell'offerta politica non hanno contribuito a far emergere in profondità il profilo innovativo del PD, come partito aperto alla partecipazione democratica e con una presenza diffusa nel territorio.
Le candidature per le elezioni politiche (e per il Sindaco di Roma) non sono state scelte attraverso le elezioni primarie e questo ha sicuramente frenato le aspettative democratiche che molti riponevano sul nuovo Partito.
Allo stesso tempo, la personalizzazione della campagna elettorare 1 contro 1 (Veltroni contro Berlusconi) non ha fatto emergere il profilo corale e plurale della nuova forza politica. Alla comunicazione berlusconiana fondata sul modello del broadcast televisivo occorreva probabalimente opporre un altro modello di comunicazione, fondato su una pluralità di soggetti, sulla capacità di fare rete e di costruire una proposta e una squadra in sintonia con il candidato premier.

4. Ripartiamo dal PD e dal territorio

Nonostante la sconfitta, i risultati delle elezioni testimoniano che in tutto il Paese c'è una grande forza riformatrice che raccoglie circa un terzo dei consensi elettorali.
Con il 33,5% dei voti il Partito Democratico si colloca ad un livello di consenso simile a quello massimo raggiunto dal Partito comunista, ma il suo risultato è più omogeneo perché in tutte le regioni è comunque superata la soglia del 25% dei voti.
Con questo livello di consensi il Partito Democratico si pone come concreta forza di governo in tutto il territorio del Paese e, a differenza del Partito comunista, ha la possibilità di costruire una proposta di governo e un sistema di alleanze sia verso la sinistra che verso il centro.
Occorre pertanto ripartire da questa forza e da questa consapevolezza.
Il PD non può restare in mezzo al guado ma deve portare a termine il processo di costituzione e di radicamento nella società e nei territori, organizzadosi realmente come partito nuovo, a rete, plurale ed aperto, a forte partecipazione popolare e democratica.
Per fare questo non occorrono correnti e scontri di vertice. Occorre una grande capacità di ascolto e di azione nella società, un lavoro costante di radicamento del PD, la costruzione di una rete di fondazioni e associazioni che consentano di recuperare un rapporto profondo con il sentimento popolare, nelle città, nelle province, nelle regioni, in Italia e in Europa.
Un partito di questo tipo può affrontare in modo intelligente le future sfide politiche ed elettorali, valutando le possibili alleanze con le forze che si collocano a sinistra o al centro del sistema politico, costruendo credibili proposte di governo e definendo la sua collocazione a livello europeo: a partire dalle elezioni amministrative del prossimo giugno in Sicilia e dalle elezioni amministrative ed europee che si terranno in tutto il paese nel 2009.

sabato 26 aprile 2008

Ripartiamo dal Partito Democratico

A dieci giorni dalle elezioni politiche che hanno visto la nuova affermazione di Berlusconi, del Popolo della libertà e dei suoi alleati, è possibile trarre alcune prime considerazioni sul risultato del PD.
Voglio innanzitutto aprire questo primo contributo con un sentito ringraziamento a Romano Prodi e Walter Veltroni per tutto quello che hanno fatto.
Due anni fa avevo scritto che il centrosinistra si trovava di fronte a due sfide importanti:
a) governare bene realizzando le proposte migliori contenute nel programma dell'Unione con un governo di legislatura che portasse finalmente a compimento la lunga transizione istituzionale che caratterizza l'Italia dal 1992;
b) procedere ad una profonda riorganizzazione delle forze politiche che lo componeva, in primo luogo attraverso la costituzione di un grande Partito Democratico.
La prima sfida è stata persa. Il Governo Prodi è purtroppo franato sulle sue contraddizioni. La sonora sconfitta elettorale del centrosinistra e, in primo luogo, delle forze che più hanno contribuito alla caduta del Governo Prodi, ne è la più evidente conseguenza.
La seconda sfida è ancora aperta. Il Partito Democratico, dopo un lungo travaglio, è finalmente nato. I risultati delle elezioni politiche del 2008 testimoniano che in tutto il Paese c'è una grande forza riformatrice che si colloca tra il 25% e il 45% dei consensi elettorali.
Occorre ripartire da questo radicamento territoriale se vogliamo riprendere rapidamente il cammino per cambiare profondamente l'Italia e l'Europa.