mercoledì 24 luglio 2013

Sulla sentenza della Corte costituzionale in materia di Province




Venerdì 19 luglio la Corte Costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza n. 220 del 3 luglio 2013, oggi pubblicata in Gazzetta Ufficiale, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale delle norme dei decreti legge che miravano a svuotare le Province trasformandole in enti di secondo grado senza funzioni fondamentali e che riordinavano le circoscrizioni provinciali attraverso accorpamenti o attraverso l'istituzione delle Città metropolitane.
In particolare sono stati dichiarati incostituzionali l’art. 23, commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.201, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, e gli articoli 17 e 18 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.95, convertito con modificazioni , dall’art. 1, comma1, della legge  7 agosto 2012, n. 135, per violazione dell’art. 77 Cost., in relazione agli artt. 117, 2° comma, lett. p) e 133, 1° comma Cost., in quanto il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate.
La sentenza è di grande rilevanza poiché, per la prima volta, la Corte costituzionale pone un argine sicuro contro l'utilizzo della decretazione d'urgenza sulle tematiche che toccano l'ordinamento delle Province (e - quindi - di tutte le altre istituzioni territoriali) che possono vantare precise garanzie costituzionali a difesa della loro autonomia.
L'importanza del pronunciamento è rafforzata anche, in via preliminare, dall’ordinanza, deliberata nel corso dell’udienza pubblica, con la quale, sono stati dichiarati inammissibili gli interventi delle Province e dell’Unione delle Province d’Italia, in quanto il giudizio di costituzionalità delle leggi, promosso in via d’azione ai sensi dell’art. 127 Cost. e degli artt. 31 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 - Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale -  si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa. Tuttavia, la Corte ha precisato che i soggetti privi di tale potestà - come i Comuni e le Province - possono esperire i mezzi di tutela delle rispettive posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente innanzi a questa Corte in via incidentale. Da questo pronunciamento si può dedurre che i Comuni e le Province potranno, da ora in poi, ricorrere direttamente dinanzi al giudice contro una legge lesiva delle loro prerogative costituzionali per accedere alla Corte costituzionale in via incidentale, previo il vaglio del giudice adito, senza dover attendere un atto amministrativo lesivo delle loro posizioni soggettive.
La Corte, sempre in via preliminare, ha respinto la richiesta dell'avvocatura dello Stato di dichiarare inammissibili i ricorsi delle Regioni a tutela delle Province in quanto «le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale» (ex plurimis, sentenze n. 311 del 2012, n. 298 del 2009, n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004).
Allo stesso tempo, ha rigettato l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'avvocatura dello Stato rispetto a tutte le censure riguardanti l’asserita violazione dell’art. 77 Cost.. Le «Regioni possono evocare parametri di legittimità diversi rispetto a quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni solo se la lamentata violazione determini una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite o ridondi sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni» (sentenza n. 33 del 2011; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 46, n. 20 e n. 8 del 2013; n. 311, n. 298, n. 200, n. 199, n. 198, n. 187, n. 178, n. 151, n. 80 e n. 22 del 2012). Ma vi è una violazione potenzialmente idonea a determinare una lesione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni, "non solo con riferimento alle competenze proprie delle Regioni ricorrenti (uniche legittimate ad esperire ricorsi in via di azione) ma anche con riguardo alle attribuzioni degli enti locali, quando sia lamentata dalle Regioni una potenziale lesione delle sfere di competenza degli stessi enti locali (sentenza n. 199 del 2012).
"Nei casi oggetto dei presenti giudizi, risulta evidente che le norme censurate incidono notevolmente sulle attribuzioni delle Province, sui modi di elezione degli amministratori, sulla composizione degli organi di governo e sui rapporti dei predetti enti con i Comuni e con le stesse Regioni. Si tratta di una riforma complessiva di una parte del sistema delle autonomie locali, destinata a ripercuotersi sull’intero assetto degli enti esponenziali delle comunità territoriali, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione."
La Corte si è soffermata perciò in una valutazione approfondita della compatibilità dello strumento normativo del decreto-legge, quale delineato e disciplinato dall’art. 77 Cost., con le norme costituzionali (in specie, ai fini del presente giudizio, con gli artt. 117, secondo comma, lettera p, e 133, primo comma) che prescrivono modalità e procedure per incidere, in senso modificativo, sia sull’ordinamento delle autonomie locali, sia sulla conformazione territoriale dei singoli enti, considerati dall’art. 114, primo e secondo comma, Cost., insieme allo Stato e alle Regioni, elementi costitutivi della Repubblica, «con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione».
Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20 del d.l. n. 201 del 2011, e degli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012, promosse dalle ricorrenti per violazione dell’art. 77 Cost., sono fondate poiché l’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina dei seguenti ambiti: «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane». “La citata norma costituzionale indica le componenti essenziali dell’intelaiatura dell’ordinamento degli enti locali, per loro natura disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei princìpi costituzionali nel processo attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali. È appena il caso di rilevare che si tratta di norme ordinamentali, che non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell’art. 77 Cost., concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall’insorgere di «casi straordinari di necessità e d’urgenza».”
I decreti-legge possono essere utilizzati in questa materia per incidere su alcune funzioni, o su alcuni punti specifici dell'ordinamento locale, solo quando vi siano "casi straordinari". "Sono destinati ad operare immediatamente, allo scopo di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità." Per questo motivo, il legislatore ordinario, con una norma di portata generale, ha previsto che il decreto-legge debba contenere «misure di immediata applicazione» (art. 15, comma 3, legge 400/88).
La Corte ha poi dichiarato l'incostituzionalità degli articoli 17 e 18 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.95, convertito con modificazioni , dall’art. 1, comma 1, della legge  7 agosto 2012, n. 135, per violazione dell’art. 77 Cost., in relazione all'art. 133, 1° comma Cost.
La modificazione delle singole circoscrizioni provinciali richiede, a norma dell’art. 133, primo comma, Cost., l’iniziativa dei Comuni interessati – che deve necessariamente precedere l’iniziativa legislativa in senso stretto – ed il parere, non vincolante, della Regione. Sin dal dibattito in Assemblea costituente è emersa l’esigenza che l’iniziativa di modificare le circoscrizioni provinciali – con introduzione di nuovi enti, soppressione di quelli esistenti o semplice ridefinizione dei confini dei rispettivi territori – fosse il frutto di iniziative nascenti dalle popolazioni interessate, tramite i loro più immediati enti esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte dall’alto.”
Emerge dalle precedenti considerazioni che esiste una incompatibilità logica e giuridica – che va al di là dello specifico oggetto dell’odierno scrutinio di costituzionalità – tra il decreto-legge, che presuppone che si verifichino casi straordinari di necessità e urgenza, e la necessaria iniziativa dei Comuni, che certamente non può identificarsi con le suddette situazioni di fatto, se non altro perché l’iniziativa non può che essere frutto di una maturazione e di una concertazione tra enti non suscettibile di assumere la veste della straordinarietà, ma piuttosto quella dell’esercizio ordinario di una facoltà prevista dalla Costituzione, in relazione a bisogni e interessi già manifestatisi nelle popolazioni locali.
La Corte ha, invece, già ammesso in passato che "l’istituzione di una nuova Provincia possa essere effettuata mediante lo strumento della delega legislativa - come tra l’altro era stato suggerito nella proposta di riordino degli enti di area vasta avanzata dall’UPI nel febbraio 2012 -  purché «gli adempimenti procedurali destinati a “rinforzare” il procedimento (e consistenti nell’iniziativa dei Comuni e nel parere della Regione) possano intervenire, oltre che in relazione alla fase di formazione della legge di delegazione, anche successivamente alla stessa, con riferimento alla fase di formazione della legge delegata» (sentenza n. 347 del 1994)." In sostanza, l’iniziativa dei Comuni ed il parere della Regione si pongono, in caso di delega legislativa, come presupposti necessari perché possa essere emanato da parte del Governo il decreto di adempimento della delega. La stessa inversione cronologica non è possibile nel caso di un decreto-legge, giacché, a norma dell’art. 77, secondo comma, Cost., il Governo deve presentare alle Camere «il giorno stesso» dell’emanazione il disegno di legge di conversione. Non vi è spazio quindi perché si possa inserire l’iniziativa dei Comuni. Né quest’ultima potrebbe intervenire nel corso dell’iter parlamentare di conversione; non si tratterebbe più di una iniziativa, ma di un parere, mentre la norma costituzionale ben distingue il ruolo dei Comuni e della Regione nel prescritto procedimento “rinforzato”.
Le considerazioni che precedono non entrano nel merito delle scelte compiute dal legislatore poiché gli altri profili di illegittimità costituzionale prospettati dalle Regioni ricorrenti restano comunque assorbiti dal pronunciamento di illegittimità costituzionale delle norme introdotte con decreto-legge.
La Corte afferma espressamente che tale pronunciamento, non porta alla conclusione “che sull’ordinamento degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale – indispensabile solo se si intenda sopprimere uno degli enti previsti dall’art. 114 Cost., o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionale – ma, più limitatamente, che non sia utilizzabile un atto normativo, come il decreto-legge, per introdurre nuovi assetti ordinamentali che superino i limiti di misure meramente organizzative.”
Questo passaggio della sentenza si riferisce ai singoli enti (“uno degli enti”) non ai livelli di governo tipici della nostra forma di stato e previsti nell’art. 114 come istituzioni costitutive della Repubblica, Infatti, in base all’art. 5 della Costituzione, la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali (all’epoca del costituente i Comuni e le Province) e non può sopprimerle in toto. Tale principio, tuttavia, non riguarda l’esistenza di ciascun ente locale, ma il principio che l’ordinamento delle autonomie locali della Repubblica sia costituito da Comuni e Province. Il legislatore può pertanto modificare le circoscrizioni degli enti nelle forme previste dall’art. 133 Cost., ma con la riserva che il numero complessivo dei Comuni e delle Province sia tale da assicurare, in modo diffuso nel territorio della Repubblica, l’attuazione dei principi di autonomia, pluralismo e democrazia previsti dalla Costituzione.
In ogni modo l’illegittimità costituzionale delle disposizioni degli articoli 23, commi 14 – 20 bis, del DL 201/11 e 17-18 del DL 95/12  rende illegittimi, altresì, anche tutti gli altri atti che da queste norme sono derivati. Viene meno la sospensione dei termini operata dal comma 115, dell’art. 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità 2013). Viene meno la riduzione delle funzioni fondamentali delle Province operata dall’art. 17 del DL 95/12 e si riespande l’elenco delle funzioni fondamentali dell’art. 21 della legge 42/09. Ma viene altresì meno il divieto di assunzioni stabilito dall’articolo 16, comma 9, del DL 95/12, stabilito in attesa di un riordino delle Province che ormai esiste più.
Ma l’incostituzionalità delle disposizioni sulle Province fa venire meno, soprattutto, il presupposto del commissariamento delle 21 Province i cui organi sono arrivati a scadenza. Ciò impone un intervento urgente - questo sì ammesso dalla Corte - per sanare il vuoto di legittimità e di responsabilità che si viene ora a creare nelle Province, al fine di ripristinare il normale funzionamento democratico degli enti attraverso le elezioni dei loro organi di governo.
Sulle Città metropolitane, l’illegittimità costituzionale dichiarata dell’art. 18 del DL 95/12 non porta alla automatica riviviscenza delle norme provvisorie per l’istituzione delle Città metropolitane inserite nella legge 42, poiché queste sono state esplicitamente abrogate dal comma primo dell’articolo 18. D’altronde da molte parti è stato osservato che le normative provvisorie per l’istituzione delle Città metropolitane degli ultimi anni hanno rappresentato una forzatura rispetto all’attuale riparto delle competenze legislative, in base al quale la competenza relativa all’istituzione delle Città metropolitane dovrebbe rientrare tra le materie di competenza residuale regionale.
Se si vuole veramente avviare il percorso di istituzione delle Città metropolitane nelle aree fortemente urbanizzate in cui è stato superato il rapporto città – campagna tipico dei territori provinciali, esigenza condivisa da molti, occorre allora procedere in modo ordinato attraverso una norma che inviti i diversi territori a condividere proposte concrete sulla base delle esperienze avviate nelle conferenze metropolitane e, poi, sulla base di un’intesa in Conferenza unificata, avviare specifici percorsi legislativi per l’istituzione delle Città metropolitane come enti di governo integrato delle aree metropolitane, attraverso norme che definiscano puntualmente funzioni, dimensioni territoriali, organi, sistemi elettorali e che prevedano la soppressione delle Province esistenti rispettando comunque le scadenze naturali dei mandati dei loro organi di governo elettivi.
In conclusione, la Corte costituzionale con la sentenza 220/13 non punisce il legislatore in sé, ma lascia aperta pertanto la possibilità di interventi legislativi anche profondi di riordino delle istituzioni territoriali, sia per via ordinaria, sia in sede di revisione costituzionale. Quel che è certo è che per la Corte esistono specifiche prerogative costituzionali degli enti esponenziali delle comunità territoriali, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione, che non possono essere intaccate tramite la decretazione d'urgenza e che consigliano di affrontare il tema del riordino delle istituzioni costitutive della Repubblica con la necessaria prudenza - facendo tesoro del principio di leale collaborazione istituzionale - e con un approccio di tipo sistematico, non frammentario ed episodico, come quelli finora posti in essere dal legislatore.

mercoledì 3 luglio 2013

La Corte costituzionale boccia i decreti legge di svuotamento-riordino delle Province




Riordino delle Province



            La Corte costituzionale nell’odierna camera di consiglio ha dichiarato l’illegittimità costituzionale:
- dell’art. 23, commi 4,14,15,16,17,18,19,20,20bis del decreto-legge 6 dicembre 2011,n.201, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma1, della legge 22 dicembre 2011,n.214;
- degli articoli 17 e 18 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.95, convertito con modificazioni , dall’art. 1, comma1, della legge  7 agosto 2012, n.135
Per violazione dell’art. 77 Cost., in relazione agli artt. 117, 2° comma, lett. p) e 133, 1° comma Cost. , in quanto il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio.



dal Palazzo della Consulta, 3 luglio 2013












L'unico commento possibile è che lo avevamo detto dall'inizio!