mercoledì 8 agosto 2012

Oltre "il presidenzialismo e il federalismo de noantri"


Ormai è chiaro a tutti che la nascita del Governo Monti è stata voluta dal Presidente della Repubblica e dai princiali partiti politici non solo per ripristinare la credibilità del Paese nei confronti dei governi europei e dei mercati, ma anche per garantire una fase di transizione che consentisse di superare la sterile conflittualità politica che in Italia si è costruita dopo Tangentopoli attraverso uno sgangherato bipolarismo plebiscitario.

Le forze politiche che sostengono Monti devono assecondare il percorso di riforme che il Governo ha predisposto in attuazione di impegni internazionali assunti dal Paese, peraltro molto difficili da digerire, ma hanno anche il compito di proporre una possibile via di uscita che consenta di aprire una nuova fase politica nella prossima legislatura, superando i limiti di questi anni.

Questa sfida si misurerà soprattutto dalla capacità di approvare in tempi brevi una riforma elettorale che restituisca ai cittadini il diritto di sciegliere i loro rappresentanti in Parlamento e consenta alle diverse forze politiche di candidarsi alla guida del Paese con proposte politiche credibili e sostenibili dal punto di vista governativo e parlamentare.

In un passaggio così difficile, il compito della sinistra è costruire una proposta di governo inclusiva e aperta al contributo dei moderati che consenta di superare le scorciatoie populiste e tecnocratiche e di mettere in sicurezza le istituzioni italiane nell'ambito del percorso di costruzione degli Stati Uniti d'Europa. Su queste discriminanti si può costruire una solida alleanza tra progressisti e moderati per la prossima legislatura che consenta all'Italia di uscire dal guado, rilanciare l'economia, riformare se stessa in coerenza con i principi costituzionali, essere protagonista del processo di costruzione dell'Europa unita.

I limiti del modello istituzionale costruito dopo Tangentopoli sono ormai visibili a tutti. Non si è creato un nuovo sistema politico solido sulle ceneri dei partiti della prima Repubblica. Le istituzioni repubblicane sono dentro una confusa transizione di cui non si vede ancora uno sbocco coerente. Il Paese non ha sfruttato i margini di manovra consentiti dall'Euro per costruire un sistema produttivo più aperto alle sfide dell'innovazione ed è ripiegato su se stesso con tassi di produttività e di crescita lontani non solo dalla Cina ma anche dalla media dei Paesi UE.

Dal punto di vista politico ed istituzionale la scelta compiuta a partire dal '93 è stata quella di puntare ad un'evoluzione della forma di governo verso il modello presidenziale e ad un'evoluzione della forma di stato verso il modello federale.

Questo scelta era in contrasto non solo con il nostro assetto costituzionale, ma anche con il nostro assetto politico. In mancanza di una profonda riforma della Costituzione, invece di seguire esempi di altre esperienze consolidate, si è costruita una proposta politica così riassumibile: "il federalismo e il presidenzialismo de noantri".

Questa scelta ha i suoi presupposti nella crisi dei partiti politici della prima Repubblica, che ha spinto il Parlamento ad approvare riforme dei sistemi elettorali dei diversi livelli di governo territoriali nelle quali veniva introdotta nella sostanza una forma di governo presidenziale, esaltando la centralità delle istituzioni rispetto alla centralità dei partiti. Questo è avvenuto prima con l'elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia e poi con l'elezione diretta dei Presisenti delle Regioni, i cd. Governatori.

L'elezione diretta dei vertici monocratici delle istituzioni territoriali, costruita su modelli elettorali molto diversificati, ha portato a svuotare nella sostanza la funzione di mediazione dei partiti politici che si esprimeva tradizionalmente nelle assemblee consiliari, per dar spazio a logiche di cooptazione politica tra partiti e vertici istituzionali, che hanno portato ad ingrossare sensibilmente le fila delle persone che vivono di politica perché "nominate" come assessori, come dirigenti scelti fiduciariamente dai politici, come rappresentanti nei tanti enti di secondo grado.

Parallelamente alla scelta presidenziale si è avviata l'evoluzione in senso federale della forma di stato repubblicana che ha trovato un suo primo coronamento nella riforma costituzionale del 2001 in cui Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato sono tutti considerati elementi costitutivi della Repubblica. La scelta non è stata portata fino in fondo perché non si è riformato il sistema parlamentare con l'istituzione di un Senato federale rappresentativo dei territori. E' evidente che, senza questa riforma, non può esistere un sistema federale.

Negli ultimi 10 anni, soprattutto sotto la spinta delle maggioranze di centrodestra (guidate da Berlusconi e Bossi) si è cercato di portare a compimento l'evoluzione dell'ordinamento italiano verso un modello presidenziale e federale, con proposte di riforma costituzionale che però non sono arrivate a compimento, anche a causa della volontà popolare di opporsi ad esse nel referendum costituzionale del 2006.

Il Governo Monti non ha affrontato direttamente il tema delle riforme istituzionali ma con diverse scelte ha fatto capire che la prospettiva istituzionale era cambiata. Da un lato, ha nella sostanza svuotato il processo di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale (legge 42/09). Dall'altro, ha operato una ferita insanabile all'attuazione della riforma costituzionale del 2001, attraverso lo svuotamento delle Province in attesa della loro completa abolizione dalla Costituzione e la previsione di un sistema di elezione indiretto (di secondo grado) degli organi di governo provinciali. Da ultimo, ha spostato l'attenzione dal federalismo di casa nostra alla prospettiva della costruzione di un sistema federale di governo a livello europeo.

Le scelte del Governo Monti in campo istituzionale non sono tutte condivisibili. Nascono da una stagione di emergenza che ha portato oggettivamente ad un abuso dei decreti legge nella materia istituzionale. Ma pongono alle forze politiche la sfida di una riflessione a 360 gradi sui futuri assetti istituzionali, sui modelli di legittimazione elettorale previsti nel nostro ordinamento, sulla forma di governo e sulla forma di stato.

Le forze del centrosinistra, progressiste e moderate, che hanno a cuore la Costituzione repubblicana e l'unificazione politica dell'Europa, possono articolare una nuova proposta istituzionale coerente su questi temi.
  1. Centralità della Costituzione e rilancio della forma di governo parlamentare in essa prevista, mettendo fine alla stagione del presidenzialismo plebiscitario e all'abuso della decretazione d'urgenza, che non ha portato grandi risultati, ridando centralità ed efficienza ad un Parlamento profondamente riformato.
  2. Rafforzamento del governo unitario europeo (a livello di bilancio, bancario, fiscale e politico) nella prospettiva di realizzare gli Stati Uniti di Europa, spostando la discussione sul federalismo dall'Italia all'Europa e rilanciando la nostra forma di stato autonomista e regionale, che prevede il rispetto e la valorizzazione delle autonomie territoriali.
  3. Previsione di sistemi elettorali per i diversi livelli di governo che siano coerenti con il nostro modello costituzionale in una prospettiva unitaria che miri a ricostruire un sistema politico autorevole e nel quale i partiti svolgano pienamente il ruolo previsto dalla Costituzione.
In questa prospettiva, anche nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, si può prevedere il mantenimento di un sistema di elezione diretta dei sindaci, viste le funzioni di governo di prossimità che i Comuni sempre più dovranno svolgere.

Per le elezioni degli organi di governo delle Province e Città metropolitane, in considerazione delle funzioni di compensazione territoriale che esse svolgono come enti con funzioni amministrative di area vasta, è preferibile optare per un sistema di elezione diretta dei soli consigli ed affidare ad essi il compito di eleggere i Presidenti di Provincia e i Sindaci metropolitani. Questa scelta rispetta i principi della carta europea delle autonomie locali e non presenta i rischi di opacità e di carenza di autorevolezza tipici delle elezioni di secondo grado.

Per le Regioni e lo Stato, in considerazione delle loro preminenti funzioni legislative e di regolazione, occorre restituire centralità e autorevolezza alle assemblee elettive, come avviene nella maggior parte dei paesi europei, e affidare a questi consessi democratici il compito di eleggere i vertici istituzionali e gli esecutivi, superando la personalizzazione della politica e ricostruendo un solido circuito di fiducia nel sistema dei partiti e nel modello parlamentare.


Nessun commento: