sabato 3 maggio 2008

Le ragioni della sconfitta

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Le elezioni politiche del 13 -14 aprile 2008 rappresentano senza dubbio una cocente sconfitta per il Partito Democratico e il complesso delle forze del centrosinistra, soprattutto se si leggono insieme ai risultati delle elezioni amministrative ed, in primo luogo, alla sconfitta subita nel ballottaggio al Comune di Roma.

1. Una sconfitta democratica

All'origine di questa sconfitta c'è, in primo luogo, una ragione puramente democratica.
Gli italiani hanno punito l'incapacità delle forze di centrosinistra di stare insieme e governare il Paese per realizzare in 5 anni ciò che era scritto nel programma dell'Unione.
Il Governo Prodi è franato soprattutto sulle sue contraddizioni.
C'era un'evidente schizofrenia tra l'obiettivo ambizioso e unitario dell'Unione, l'azione di governo, le dichiarazioni di singoli ministri e e la frammentazione delle forze politiche che facevano parte della coalizione.
In alcuni casi (formazione del Governo, numero di ministri e sottosegretari) è stato rinnegato il programma elettorale; in altri (l'indulto) si è privilegiato un intervento di emergenza rispetto a riforme strutturali che garantissero il funzionamento della giustizia e la certezza delle pene; in altri (il protocollo del sul welfare) sono venuti al pettine i nodi irrisolti che erano dentro lo stesso programma dell'Unione.
Più in generale l'Unione non è riuscita a gestire unitariamente il passaggio dalla fase di risanamento della spesa pubblica a quella di sviluppo del progetto per il rilancio del Paese.
Il risultato elettorale punisce pesantemente soprattutto le forze che più hanno contribuito con i loro comportamenti e con le loro azioni alla caduta del Governo Prodi, ma segna una sconfitta complessiva per le forze del centrosinistra che non hanno saputo affrontare con unitarietà, coerenza e capacità la sfida del governo.


2. Una sconfitta sociale, territoriale e culturale

La nuova affermazione di Berlusconi (la terza in 14 anni) e il risultato del Popolo della libertà e dei suoi alleati hanno tuttavia radici profonde e di più lunga durata.
In questi anni, l'Italia ha avviato un lungo processo di transizione istituzionale che è stato da tutti visto come la necessaria risposta alla bassa capacità di crescita del paese e che purtroppo non è arrivato ancora a compimento. La grave crisi della finanza pubblica e la situazione del debito pubblico ereditata dagli anni '80, insieme all'ingresso del nell'Unione europea e nell'area dell'euro, hanno costretto i diversi governi a manovre finanziarie che hanno colpito le capicità di investimento e di consumo del Paese. La globalizzazione e il forte sviluppo delle nuove economie emergenti (Cina, India ...) hanno messo in difficoltà il tradizionale settore manifatturiero in cui l'Italia eccelleva, penalizzando le capacità di esportazione. In un periodo di bassa crescita economica si è assistito allo spostamento della ricchezza reale dai salari alle rendite e ai profitti e al parallelo aumento dei livelli di disuguaglianza sociale e territoriale.
L'Italia è stata descritta come un paese in declino, ripiegato su se stesso e che non riesce a trovare una visione condivisa per rilanciare il suo ruolo nazionale e internazionale: uno specchio in frantumi in cui prevalgono le istanze particolaristiche e corporative.
I partiti di centrosinistra e i sindacati che ad essi sono tradizionalmente collegati non hanno saputo portare a completamento la lunga transizione istituzionale che caratterizza l'Italia dal 1992 e non hanno fornito una prospettiva di rilancio al Paese. Hanno perduto la capacità di insediamento sociale nella società italiana che è stata percorsa da profondi processi di ristrutturazione del tessuto produttivo (riorganizzazione e delocalizzazione delle imprese), del mercato del lavoro (che è divenuto molto più precario) e della sua composizione demografica (il costante aumento della popolazione immigrata).
I partiti del centrodestra, invece, sono riusciti a rappresentare meglio le diverse facce del Paese. L'Alleanza tra il Popolo delle libertà, la Lega, il MPA ha consentito di trovare delle risposte differenziate nelle diverse aree del Paese. E la capacità di rappresentanza territoriale non si è limitata al Nord e alla Sicilia, ma è arrivata a radicarsi quasi in tutto il Paese, con una ricaduta evidente anche sul voto amministrativo di Roma. Le uniche aree geografiche che si resistono allo spostamento del voto a destra sono le tradizionali regioni rosse del centro-nord.
Anche se sono evidenti le contraddizioni politiche e culturali la coalizione di centrodestra ha saputo interpretare gli orientamenti profondi del Paese grazie ad una rinnovata presenza nella società, non solo tra gli imprenditori e i professionisti ma anche tra gli operai e le fasce più popolari (circoli, sindacati, apparati di informazione, ecc.).
E' evidente che le diverse risposte delle forze del centrodestra hanno trovato un cemento straordinario in Berlusconi che, a partire dalla sua presenza negli apparati informativi e dalle sue capacità di comuicazione, ha saputo costruire in questi anni un solido sistema di alleanze politiche ed un'egemonia culturale che hanno profondamente influenzato l'opinione pubblica: segni evidenti di ciò sono le analisi e le idee contenute nell'ultimo libro di Tremonti, come lo spazio dato alle tematiche della sicurezza in tutte le televisioni durante la campagna elettorale politica e amministrativa.


3. Il risultato del Partito Democratico

Di fronte alla crisi evidente e alla frammentazione dell'alleanza che sosteneva il secondo Governo Prodi, la nascita del Partito Democratico ha rappresentato l'unico vero tentativo di rispondere attraverso una nuova proposta politica alla sfida elettorale.
La scelta di trasformare l'alleanza elettorale dell'Ulivo in un vero partito riformatore si sarebbe dovuta avviare probabilmente già dopo la caduta del primo Governo Prodi nel 1998. Tuttavia il Partito Democratico, dopo un lungo travaglio, è finalmente nato, attraverso un processo costituente che ha visto la confluenza dei DS e della Margherita nel nuovo Partito, la partecipazione di oltre 3 milioni di persone e una prima adesione di oltre 1 milione di persone.
La scelta di affrontare da soli la sfida delle elezioni politiche del 13 e 14 aprile non è stata evidentemente sufficiente per cambiare l'esito del voto.
Il voto ravvicinato è intervenuto quando ancora era in corso la fase costituente del PD: le differenze dell'esito del voto politico nelle diverse aree territoriali, nelle aree urbane rispetto ai centri minori, i diversi rislutati del voto amministrativo devono essere letti anche in questa luce.
Al di là delle ragioni oggettive della sconfitta elettorale, occorre pertanto avviare una riflessione approfondita anche sulle modalità con le quali è stato avviata la costruzione del nuovo Partito a livello nazionale e nei diversi territori.
Senza dubbio l'emergenza elettorale e la forte verticalizzazione dell'offerta politica non hanno contribuito a far emergere in profondità il profilo innovativo del PD, come partito aperto alla partecipazione democratica e con una presenza diffusa nel territorio.
Le candidature per le elezioni politiche (e per il Sindaco di Roma) non sono state scelte attraverso le elezioni primarie e questo ha sicuramente frenato le aspettative democratiche che molti riponevano sul nuovo Partito.
Allo stesso tempo, la personalizzazione della campagna elettorare 1 contro 1 (Veltroni contro Berlusconi) non ha fatto emergere il profilo corale e plurale della nuova forza politica. Alla comunicazione berlusconiana fondata sul modello del broadcast televisivo occorreva probabalimente opporre un altro modello di comunicazione, fondato su una pluralità di soggetti, sulla capacità di fare rete e di costruire una proposta e una squadra in sintonia con il candidato premier.

4. Ripartiamo dal PD e dal territorio

Nonostante la sconfitta, i risultati delle elezioni testimoniano che in tutto il Paese c'è una grande forza riformatrice che raccoglie circa un terzo dei consensi elettorali.
Con il 33,5% dei voti il Partito Democratico si colloca ad un livello di consenso simile a quello massimo raggiunto dal Partito comunista, ma il suo risultato è più omogeneo perché in tutte le regioni è comunque superata la soglia del 25% dei voti.
Con questo livello di consensi il Partito Democratico si pone come concreta forza di governo in tutto il territorio del Paese e, a differenza del Partito comunista, ha la possibilità di costruire una proposta di governo e un sistema di alleanze sia verso la sinistra che verso il centro.
Occorre pertanto ripartire da questa forza e da questa consapevolezza.
Il PD non può restare in mezzo al guado ma deve portare a termine il processo di costituzione e di radicamento nella società e nei territori, organizzadosi realmente come partito nuovo, a rete, plurale ed aperto, a forte partecipazione popolare e democratica.
Per fare questo non occorrono correnti e scontri di vertice. Occorre una grande capacità di ascolto e di azione nella società, un lavoro costante di radicamento del PD, la costruzione di una rete di fondazioni e associazioni che consentano di recuperare un rapporto profondo con il sentimento popolare, nelle città, nelle province, nelle regioni, in Italia e in Europa.
Un partito di questo tipo può affrontare in modo intelligente le future sfide politiche ed elettorali, valutando le possibili alleanze con le forze che si collocano a sinistra o al centro del sistema politico, costruendo credibili proposte di governo e definendo la sua collocazione a livello europeo: a partire dalle elezioni amministrative del prossimo giugno in Sicilia e dalle elezioni amministrative ed europee che si terranno in tutto il paese nel 2009.

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