mercoledì 24 giugno 2009

Dal fallimento del referendum ad un percorso condiviso di riforme?

Il fallimento dei referendum elettorali del 21-22 giugno è stato commentato da molte parti come il "de profundis" dell'istituto referendario, mentre non è stata posta la necessaria attenzione sul merito dei quesiti sui quali gli italiani erano stati chiamati ad esprimere il loro voto e sui quali erano state svolte approfondite riflessioni prima del voto.

Se è fisiologico che una parte degli elettori si astenga dal voto soprattutto nel caso di quesiti referendari di natura molto tecnica, l’astensione del 21-22 giugno va interpretata in maniera diversa. Per il referendum, su scala nazionale, è andato a votare circa il 23,5% degli elettori. Se si analizza il dato relativo alle 22 province nel quale c’erano anche i ballottaggi si può, tuttavia riscontrare, che molti cittadini hanno scelto di andare a votare per l’elezione del presidente della provincia ed hanno consapevolmente rifiutato allo stesso tempo le schede dei referendum. Questo è avvenuto con percentuali diverse sia al Nord, sia al Centro, sia al Sud ma con un dato medio di circa il 7% in meno.

Questi dati devono essere letti anche alla luce del comportamento che i cittadini italiani hanno avuto relativamente al referendum del 2006 sulla riforma costituzionale approvata dal centrodestra, al quale ha partecipato oltre il 52% degli elettori. E’ vero che in questo caso non vi era il quorum da raggiungere, ma il popolo si è espresso chiaramente per impedire l’entrata in vigore di una riforma costituzionale che stravolgeva profondamente gli equilibri della seconda parte della Costituzione repubblicana ed era stata votata dal centrodestra, senza il necessario coinvolgimento dell’opposizione in Parlamento.

Dall’esito di questi due risultati referendari si può ricavare che il popolo italiano richiede alle forze politiche di evitare gli scontri sulle regole del gioco. Gli italiani vogliono che sulla legge elettorale, come sulle riforme costituzionali, ci sia un serrato confronto in Parlamento e si approvino riforme largamente condivise.

Questo non impedisce agli italiani di giudicare l’operato delle maggioranze di governo che ci sono nel Paese o a livello territoriale e di votare in maniera massiccia quando si tratta di scegliere chi dovrà governare il Paese, gli organi di governo del Comune, della Provincia, della Regione. In questo caso i cittadini votano laicamente sulla base della credibilità delle coalizioni e delle proposte politiche che esse avanzano.

Il risultato dei referendum elettorali, tuttavia, deve essere letto anche alla luce della concreta evoluzione del sistema politico italiano che si cominciata a consolidare negli ultimi due anni. Dai dati delle elezioni politiche del 2008, delle elezioni europee di quest’anno e dalla partecipazione alle coalizioni che le diverse forze politiche hanno avuto nelle recenti elezioni amministrative emerge che gli italiani non vogliono un bipartitismo entropico, ma una semplificazione e razionalizzazione del sistema politico intorno alle due principali forze politiche su cui sono imperniate le coalizioni di governo a livello nazionale e territoriale (PDL e PD) e a quelle forze politiche (la Lega, l'IDV, l'UDC, ma potenzialmente anche la Sinistra) che siano in grado di superare le soglie di sbarramento previste dalle diverse leggi elettorali e di veicolare in modo consistente interessi e valori che altrimenti non troverebbero rappresentanza nel sistema politico.

Sulla base di questi dati le forze politiche possono avviare un confronto approfondito in Parlamento per approvare, per la prossima legislatura, una riforma elettorale che consenta di contemperare l’esigenze del pluralismo, della democrazia, della rappresentanza e della governabilità.

Per realizzare anche in Italia una “democrazia che decida” non c’è bisogno di scorciatoie presidenziali o plebiscitarie ma di una nuova legge elettorale, della modifica dei regolamenti parlamentari e di una riforma del sistema parlamentare, che superi i limiti del bicameralismo perfetto e istituisca un Senato delle autonomie per raccordare il Parlamento con la nuova forma di stato che è stata introdotta nella Costituzione dalla riforma costituzionale del 2001.

Su queste esigenze di riforma istituzionale c’è l’accordo teorico di tutte le forze politiche, ma occorre trovare in Parlamento quella larga condivisione che gli italiani chiedono alla politica quando si tratta di decidere le regole del gioco. Il sistema politico italiano, dopo una lunga fase di transizione, potrà trovare una nuova legittimazione e fornire risposte chiare ai profondi bisogni del Paese se le forze politiche di maggioranza e di opposizione riusciranno a trovare l’accordo su questo percorso di riforma.

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