sabato 30 aprile 2016

La riforma costituzionale, per un’Italia più semplice ed unita in Europa


Con l’approvazione definitiva della riforma costituzionale da parte del Parlamento si introduce un cambiamento profondo nel nostro ordinamento, perché si porta a compimento un percorso di riforme da lungo tempo avviato, risolvendo alcuni dei problemi costituzionali che sono stati evidenziati in questi anni, da diverse maggioranze politiche e da diversi Presidenti della Repubblica.

Ora la parola spetta al popolo che, nel referendum costituzionale che si svolgerà nel prossimo autunno, dovrà decidere se confermare o meno le scelte compiute in Parlamento.

Le ragioni della riforma

La riforma costituzionale del 2001 aveva posto le premesse di un assetto federale della Repubblica, con uno spostamento delle competenze legislative dallo Stato alle Regioni, senza ripensare il processo il sistema parlamentare fondato sul bicameralismo perfetto.

In questo modo, negli anni successivi, si sono complicati profondamente i processi di formazione delle decisioni pubbliche, sono aumentati i conflitti tra i diversi livelli di Governo e si è bloccato il processo di decentramento verso le autonomie locali.

L’Italia si è ripiegata su se stessa nella ricerca di un suo modello federale, nel momento in cui avrebbe invece dovuto spingere verso un impianto federale europeo che bilanciasse dal punto di vista politico l’entrata in vigore dell’euro. Prendendo in prestito una vignetta di Bucchi “Allo svincolo del secolo siamo entrati nella storia contromano”.

Con l’evoluzione dell’ordinamento europeo dopo l’entrata in vigore della moneta unica e con la recessione economica, a partire dal 2009 si è fatta strada l’esigenza di una semplificazione del sistema istituzionale italiano per ridurre la spesa pubblica e migliorare la funzionalità delle diverse istituzioni.

Il percorso della riforma

Da molte parti è stato osservato che la riforma non ha alle spalle uno spirito costituente, perché è stata approvata da una maggioranza ristretta.

In verità, l'esigenza di una revisione ampia della seconda parte della Costituzione nasce da un percorso condiviso dai costituzionalisti e dalla maggioranza delle forze politiche. Non a caso questa legislatura è nata con l'impegno delle riforme costituzionali che è stato inserito nei programmi del Governo Letta e del Governo Renzi.

La riforma non è stata approvata da una maggioranza ristretta, specialmente se si confronta con quello che è successo nella riforma costituzionale del 2001 e con il tentativo di riforma operato dal centrodestra nel 2006.

Nelle prime letture la riforma è stata approvata dal PD e dall’intero centrodestra, mentre il M5S si è autoescluso. Nelle ultime letture, dopo l’elezione di Mattarella a Presidente della Repubblica, i parlamentari di Forza Italia si sono opposti all'approvazione, ma il resto degli eletti di centrodestra ha continuato a votare a favore.

Si tratta di una maggioranza di circa il 60% di Camera e Senato, nettamente al di sopra di quella del 2001 e di quella richiesta dall’articolo 138, comunque soggetta alla verifica referendaria.

Occorre considerare che stiamo parlando di una riforma costituzionale nella quale, per la prima volta nella storia della Repubblica, il Parlamento decide di autolimitarsi, riducendo i costi della politica e trasformando il Senato in una Camera delle autonomie.

I contenuti della riforma

La principale novità è rappresentata senza dubbio dalla modifica del sistema parlamentare, con il superamento del bicameralismo perfetto e la trasformazione del Senato in una camera di rappresentanza delle autonomie territoriali, secondo un modello largamente diffuso negli altri paesi europei.

Il Parlamento riacquista la centralità nel sistema politico ed istituzionale, perché si rende più funzionale la decisione politica a livello nazionale nel contesto europeo, semplificando il procedimento di formazione delle leggi, limitando l’abuso della decretazione d’urgenza e riportando in capo allo Stato alcune materie legislative che erano state assegnate alle Regioni, secondo le indicazioni costanti della giurisprudenza della Corte costituzionale successiva alla riforma del 2001.

Il Senato della Repubblica, composto da rappresentanti delle Regioni e dei Comuni, diventa la sede di raccordo e di integrazione tra il legislatore nazionale e i legislatori regionali, nella quale si potranno prevenire le sovrapposizioni e i conflitti di competenze. Sulla composizione del Senato e sul sistema di scelta dei senatori la soluzione non è la migliore, ma comunque è ragionevole la scelta di coinvolgere le autonomie nel Senato, nella prospettiva di una riforma coerente delle Conferenze che migliori il sistema dei raccordi istituzionali.

Si rafforza il ruolo del Governo che dovrà avere la fiducia della sola Camera dei Deputati, eletta con il nuovo sistema elettorale, che risponde ad esigenze di rappresentatività e di governabilità e che ripristina la centralità dei partiti (e non delle coalizioni) nel funzionamento del sistema politico e democratico.

Allo stesso tempo, viene mantenuto e valorizzato il sistema dei contrappesi, attraverso la previsione dello statuto delle opposizioni, la revisione dell’istituto del referendum, il rinnovato ruolo delle istituzioni di garanzia, dal Presidente della Repubblica alla Corte costituzionale.

Non ci sarà uno strapotere della maggioranza poiché il 54% dei seggi della Camera è un numero inferiore al 60% dei componenti o dei votanti richiesti per gli organi di garanzia. Neanche sommando i voti lordi dei deputati e senatori di maggioranza (340 + 50) ci si avvicina ai 3/5 (435) necessari per l'elezione del Presidente della Repubblica. Almeno 240 sui 340 eletti della maggioranza saranno espressione delle preferenze (e non nominati dal leader) e non è detto che si comportino tutti nello stesso modo. Di conseguenza, senza il contributo proveniente da gruppi di opposizione non sarà possibile procedere all'elezione degli organi di garanzia.

Il passaggio da una logica di competizione ad una di cooperazione avviene anche a livello territoriale, perché l’abolizione delle Province dalla Costituzione porta a compimento il superamento dell’ordinamento provinciale uniforme che ha caratterizzato lo Stato unitario, avviato dalla legge 56/14, in un disegno coerente di attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

Si semplifica la forma di Stato della Repubblica: da 4 livelli di governo in conflitto si passa a 3 livelli di governo (Comuni, Regioni e Stato) che devono cooperare tra di loro. Tutta l’amministrazione locale (sia quella di prossimità, sia quella di livello di area vasta) è ricondotta in capo ai Comuni e ai Sindaci,che hanno anche la responsabilità del governo delle Città metropolitane e dei nuovi Enti di area vasta, previsti nell’articolo 40, comma 40, della riforma.

In questo modo si offre una cornice costituzionale equilibrata per consolidare i percorsi di riforma avviati attraverso la legge di riordino degli enti locali e la legge di riforma della pubblica amministrazione.

L'approvazione definitiva della riforma

La riforma costituzionale non risolve tutti i problemi costituzionali, ma ha l'obiettivo di rimettere nella giusta direzione l'Italia nel contesto europeo.

Di fronte al passo in avanti notevole derivante dal superamento del bicameralismo perfetto, una bocciatura referendaria della riforma darebbe l’immagine di un Paese incapace di innovazioni coraggiose in un mondo che cambia.

L’approvazione definitiva della riforma dopo il referendum consentirà di acquisire alcune fondamentali innovazioni da tempo largamente auspicate e condivise, mentre non sono precluse successive riconsiderazioni e modifiche delle soluzioni criticabili, con interventi più puntuali e mirati, che deriveranno dal nuovo equilibrio che si troverà nel Parlamento.

Se la riforma sarà definitivamente approvata con il Sì al referendum si porranno i presupposti per costruire in Italia un sistema istituzionale più semplice e funzionale, in cui i diversi livelli di governo, invece di competere, collaborano tra di loro e si integrano reciprocamente, recuperando l'impianto unitario ed autonomista della nostra forma di stato, nella prospettiva di un’Europa più unita.

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