lunedì 16 giugno 2008

Il coraggio di investire sul futuro dell'Europa.

La vittoria del no al referendum del 12 giugno in Irlanda sul Trattato di Lisbona riapre il dibattito sul futuro dell'Unione europea.
I Governi dei diversi paesi membri, dopo la pausa di riflessione dovuta al rigetto del Trattato sulla costituzione europea da parte dei cittadini francesi ed olandesi, avevano sperato che si potesse ratificare il Trattato di Lisbona entro la fine del 2008, prima delle prossime elezioni del Parlamento europeo, attraverso una ratifica parlamentare da parte dei diversi Paesi membri, poiché il nuovo Trattato non si pone l'obiettivo di approvare una “Costituzione” europea.
A questo percorso solo l'Irlanda ha opposto la necessità del ricorso al referendum popolare, poiché la sua Costituzione lo richiedeva.
Nonostante che la gran parte delle classi dirigenti irlandesi (delle forze politiche e delle rappresentanze sociali) sostenesse l'approvazione del Trattato, le forze contrarie sono riuscite a prevalere, facendo leva sulle paure suscitate dalla crisi economica e sui rischi di un'invadenza della burocrazia europea e della perdita dell'identità nazionale.
Si sono opposti al Trattato il Partito cattolico nazionalista dell'Irlanda del Nord il (Sinn Fein), alcune frange minoritarie di estrema destra ed estrema sinistra e un ricco uomo d'affari (Ganley) che ha investito molte risorse nei mass media per il no al referendum. Tuttavia, più in profondità, hanno influito sul risultato anche le posizioni di molti settori dell'establishment degli USA, della Chiesa cattolica, dei circoli ultra-liberisti che si oppongono all'idea di un'Europa politicamente unita, che riafferma la tradizione dell'illuminismo e il modello dell'economia sociale di mercato.
Di fronte al rifiuto irlandese, occorre innanzitutto evitare che gli altri paesi europei perdano la testa e proseguire il percorso di ratifica parlamentare negli 8 paesi che mancano (tra cui l'Italia, l'Inghilterra e la Spagna) per arrivare entro la fine dell'anno alla ratifica del Trattato di Lisbona almeno da parte dei 4/5 degli Stati membri. E' la strada prevista dall'art. 48 del Trattato, che le istituzioni europee e i Paesi più importanti dell'Europa (la Germania, la Francia, la Spagna e, fino ad ora, anche la reticente Inghilterra) stanno indicando. E' la strada che dovrebbe essere seguita rapidamente anche dall'Italia, superando i ricatti che la Lega può porre al Governo e al Parlamento, attraverso un lavoro comune delle forze di maggioranza e di opposizione.
La ratifica del Trattato di Lisbona da parte di una larga parte degli Stati membri consentirebbe ad essi di insistere sul processo di unificazione, evitando di incagliarsi sui veti posti da alcuni Stati contro gli impegni sottoscritti. Si darebbe vita in questo modo ad un progetto comunque aperto all’adesione dei diversi Stati e popoli che compongono l'Unione europea, nei tempi e con gli adattamenti che si ritengano necessari.
Questa complessa strategia è sicuramente una costruzione ardita dal punto di vista giuridico, ma non risolve il problema del distacco profondo che negli ultimi anni si è aperto tra i cittadini e le istituzioni europee.
Dopo la fase di unificazione europea del dopoguerra che è servita a superare il conflitto storico franco-tedesco, dopo la fase dell'unificazione funzionale delle frontiere e della moneta seguita alla fine dell'Unione sovietica, occorre aprire una riflessione profonda sull'identità politica dell'Europa.
Da un lato, i cittadini europei sentono sempre più di far parte di un'unica entità sovranazionale, che consente di affrontare insieme le sfide della globalizzazione e dei cambiamenti dell'economia mondiale. Dall'altro, non riescono ancora a capire bene cosa è l'Europa: sanno che non è uno Stato, che non è una Confederazione di stati, ma hanno molti dubbi su un potere dai confini non ben definiti e di cui non è ben chiara la legittimazione democratica.
Per questi motivi è indispensabile che, accanto al completamento del processo di ratifica del Trattato di Lisbona, si apra immediatamente un dibattito per rilanciare la prospettiva politica e democratica di un'Europa federale, nella quale sia esplicitata la doppia legittimazione dell'Unione europea: quella degli Stati membri e quella dei popoli europei.
Le elezioni del Parlamento europeo del 2009, in questa prospettiva, rappresentano un'occasione da non perdere. Occorre fare in modo che, in vista di questa scadenza, ci sia un dibattito politico che consenta la formazione di forze politiche continentali che abbiano veramente un progetto comune, innanzitutto sulla futura identità istituzionale dell'Unione europea. Anche la stessa discussione sulla collocazione internazionale del PD dovrebbe focalizzarsi su questo obiettivo,per consentire di costruire una vasta alleanza di forze progressiste e democratiche favorevoli all'unificazione politica dell'Europa.
Se, come è ipotizzabile, entro il 2008 oltre i 4/5 dei Paesi membri avranno ratificato il Trattato di Lisbona, tutti le forze europeiste (e, soprattutto, i federalisti convinti) dovrebbero proporre di affiancare alle elezioni del Parlamento un referendum consultivo europeo sul nuovo Trattato.
Questa scelta consentirebbe di rafforzare il fondamento democratico del processo di costruzione dell'Unione europea e, allo stesso tempo, permetterebbe anche agli Stati più recalcitranti di verificare la volontà dei loro popoli, non in un contesto nazionale strumentalizzato, ma in un dibattito pubblico continentale.
E' evidente che questa scelta comporta il rischio di un voto negativo da parte dei cittadini europei: ma non è pensabile di dar vita ad una costruzione così ardita come l'unificazione politica europea se non si ha il coraggio di rischiare.
Su questa scelta si potrà pertanto verificare se, nelle forze politiche e nella società civile, potrà finalmemte emergere una classe dirigente che, consapevole delle sfide che insieme dobbiamo affrontare nel mondo, sia capace di proporre un progetto chiaro, credibile e duraturo ai singoli cittadini e alle nazioni che compongono l'Unione europea.

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