venerdì 11 luglio 2008

Le ragioni del no al decreto sicurezza

In un intervento precedente ho già affermato che il Partito Democratico deve mettere al centro della sua riflessione il bisogno di sicurezza dei cittadini, nelle diverse dimensioni in cui si manifesta, soprattutto per rispondere alle domande delle fasce più deboli della popolazione, ma che allo stesso tempo deve evitare di copiare le ricette della destra e uscire dalla cultura dell'emergenza che sta caratterizzando le scelte del legislatore italiano in materia penale.

Nell'odierna discussione parlamentare sul "Decreto sicurezza" il Governo ha presentato alcuni emendamenti per superare i problemi della norma "blocca processi", a seguito del via libera dato ieri dalla Camera dei deputati al "Lodo Alfano".

Al di là della norma incriminata, il Decreto legge sulla sicurezza, in considerazione delle diverse materie affrontate e delle diverse modifiche approvate in Parlamento, si rivela come un provvedimento bandiera che cerca di rassicurare le paure dei cittadini, ma non risolve i veri problemi della giustizia ed, anzi, introduce diverse complicazioni, come ha chiarito il CSM nella sua deliberazione del 1° luglio scorso.

Con i suoi presupposti di necessità e urgenza (sic!) il Decreto legge si muove nel già fragile ordinamento penale italiano come un elefante tra la cristalleria.

A conferma di questa affermazione basta scorrere l'indice delle disposizioni approvate:
  • Art. 1 (Modifiche al codice penale)
  • Art. 2 (Modifiche al codice di procedura penale)
  • Art. 2-bis (Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271)
  • Art. 2-ter (Sospensione dei processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002).
  • Art. 3 (Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274)
  • Art. 4 (Modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni)
  • Art. 5 (Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).
  • Art. 6 (Modifica del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale)
  • Art. 6-bis (Modifica all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689)
  • Art. 7 (Collaborazione della polizia municipale e provinciale nell’ambito dei piani coordinati di controllo del territorio)
  • Art. 7-bis (Concorso delle Forze armate nel controllo del territorio)
  • Art. 8 (Accesso della polizia municipale al Centro elaborazione dati del Ministero dell’interno)
  • Art. 8-bis (Accesso degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle Capitanerie di porto al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno)
  • Art. 9 (Centri di identificazione ed espulsione)
  • Art. 10 (Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575)
  • Art. 10-bis (Modifiche al decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356)
  • Art. 11 (Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152)
  • Art. 11-bis (Modifiche alla legge 3 agosto 1988, n. 327)
  • Art. 11-ter (Abrogazione)
  • Art. 12 (Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12)
  • Art. 12-bis (Modifiche alla legge 18 marzo 2008, n. 48)
  • Art. 12-ter (Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)
  • Art. 12-quater (Modifica all'articolo 25 delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448)
  • Art. 13 (Entrata in vigore)
La cultura di emergenza che invade il diritto penale mi fa tornare in mente le parole e le ragioni del professor Franco Bricola, teorico delle dottrine generali del diritto penale, ed in particolare del suo capolavoro, la "Teoria generale del reato" (1973), nella quale si rende evidente la dimensione politica e costituzionale del diritto penale.

Non ci può essere reato se non c'è «offesa colpevole» ai beni giuridici tutelati dalla Costituzione. Solo un'offesa di questo tipo può giustificare il sacrificio della libertà personale (uno dei massimi valori costituzionali) che ancora oggi consegue - direttamente o indirettamente - ad ogni tipo di pena. Perché ci sia un reato ci deve essere un'offesa o almeno un "pericolo concreto", il principio di colpevolezza e la ragionevole possibilità di conoscere la norma penale violata.

Ma la Costituzione è anche il luogo in cui si individuano i poteri dello Stato, il loro rango, le loro attribuzioni. Su questo si basa la certezza del diritto. La riserva di legge in materia penale prevista dall'art. 25 della Costituzione deve pertanto ritenersi come riserva assoluta: ciò implica che solo agli atti normativi provenienti in via esclusiva dal Parlamento possono introdurre norme e sanzioni penali.

Per questo motivo, non sono tollerabili intrusioni del potere esecutivo nel diritto penale, anche nella forma del decreto legislativo e del decreto legge, né sono tollerabili gli occulti interventi creativi del potere giudiziario, favoriti da norme incriminatrici sprovviste della necessaria precisione e determinatezza che portano agli abusi della "discrezionalità".

Per questo motivo, se si vuole veramente una giustizia giusta, è necessario innanzitutto che il Parlamento si riappropri delle sue attribuzioni costituzionali, negando l'approvazione di provvedimenti emergenziali in materia penale che aumentano il caos della legislazione penale e l'incertezza del diritto e della pena, aumentanto ancora di più la "discrezionalità" dei giudici.

Come di può vedere le ragioni del no al Decreto sicurezza stanno al di là della contrapposizione tra i giudici e la politica, che riempie le pagine dei giornali e dei telegiornali, e nascono da una profonda esigenza di giustizia che ha il suo fondamento nella lucida Costituzione della Repubblica italiana.

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